Violenza a scuola: qual è l’insegnante giusto per la scuola di oggi?

Ciò che è accaduto a Franca Di Blasio (e non solo a lei), la professoressa di 54 anni ferita al viso da un suo studente, che rifiutava di essere interrogato, è molto grave e suscita  alcune riflessioni anche riguardo a un possibile modello di  scuola, che sia all’altezza dei tempi e dei bisogni dei ragazzi che la frequentano. Sui media hanno rimbalzato le parole della docente che, più che preoccuparsi della sua salute, ha manifestato un grande dispiacere per quanto avvenuto, chiedendosi cosa non abbia funzionato, attraverso queste parole: “Non riesco a capire come possa essere successo. Non riesco proprio a spiegarmelo. È come se mi fosse crollato il mondo addosso. Qualcosa non ha funzionato. Avrò commesso un errore, non so. Mi sento di aver fallito. Il mio pensiero va sempre e soltanto a quel ragazzo”. Molti di noi che la scuola l’hanno vissuta realmente attraverso il contatto quotidiano con i propri studenti, e insieme con essa hanno attraversato gli sconvolgimenti e i cambiamenti succedutisi negli ultimi trent’anni, non possono non emozionarsi alle parole di questa docente che fa tornare alla mente quella figura di maestro/educatore che la società piano piano ha eroso e ha cambiato, stravolgendone l’essenza e limitandone il valore e il ruolo centrale nell’evoluzione del Paese, del suo modello sociale ed economico. Non si può eludere, infatti, che nel tempo la figura del docente e il suo ruolo nella società e nella formazione siano divenuti sempre più residuali e, soprattutto, soggetti a critiche da ogni parte, da parte delle famiglie in primis, che non  hanno più riconosciuto il valore unico che la scuola, quale principale agenzia educativa, ha nel portare a buon fine l’educazione e l’istruzione dei figli, alle altre componenti della società, che hanno contribuito a mettere in discussione compiti e funzione del docente, sottraendogli dignità e autorevolezza. Ne abbiamo parlato nel numero di Tuttoscuola di aprile, in un articolo a firma di Speranzina Ferraro, esperta di sistemi formativi.

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Senza dubbio, la scuola con il suo modello organizzativo/didattico, da sempre refrattaria ai cambiamenti, ha alimentato il sorgere di questa contrapposizione, che non ha giovato alla società e al suo progresso, ma che non ha giovato, soprattutto, alla maturazione e alla formazione integrale dei nostri studenti. Tuttavia, per leggere e interpretare correttamente la situazione attuale della nostra scuola, può essere utile rivolgere l’attenzione ai mutamenti sociali ed economici che sono sopraggiunti e che hanno travolto, si può ben dire, i tradizionali modelli organizzativi delle nostre società, dell’economia, del lavoro e la stessa vita privata e professionale di ogni persona.

Come efficacemente dice Bauman, siamo nel bel mezzo di un passaggio da una modernità solida a una modernità liquida e fluida, con tutto ciò che essa comporta. Siamo attraversati in questi anni dalla rivoluzione informatica, dall’avvento di tecnologie sempre più sofisticate, dalla globalizzazione dell’economia e dei mercati, dai trasporti sempre più veloci, che hanno abbattuto e abbattono ogni tipo di frontiere, dalla mobilità delle persone e dei lavoratori, a volte cercata e voluta, altre volte subita e resa necessaria dal contesto e dalle situazioni di vita. A tutto questo si deve aggiungere una crescita esponenziale di informazioni, che ogni individuo, in qualunque età e situazione, deve incamerare e interpretare, per poter vivere attivamente nella società presente. Il lavoro, poi, è cambiato, ha perso le certezze di un tempo ed è anch’esso diventato fluido, flessibile, provvisorio. Il sistema di valori, che fino a poco tempo fa ha guidato e indirizzato le azioni di ogni persona, si è frantumato e, con esso, alcune Istituzioni, come la scuola,  hanno perso l’autorevolezza di un tempo e smarrito il senso e l’importanza del compito di trasmettere e generare cultura e radicare nei giovani le “regole”  alla base del viver sociale.

La conseguenza di queste profonde trasformazioni è un generalizzato senso di insicurezza e precarietà negli individui per la perdita dei punti di riferimento tradizionali, che ha imposto a tutti, al singolo individuo e alle istituzioni di mettersi in discussione ed avviare profondi processi di cambiamento e riforma. Nel 2000, infatti, il Consiglio d’Europa (Lisbona) diffonde un documento nel quale si afferma che “l’Europa è indiscutibilmente entrata nell’era della conoscenza, con tutte le conseguenze che tale evoluzione implica sulla vita culturale, economica e sociale”. Si afferma, a partire da Lisbona 2000, l’esigenza di attuare un’istruzione e una formazione permanente. Questo innesca processi di riforma dei sistemi d’istruzione e formazione di tutti i paesi d’Europa con un unico e condiviso obiettivo, quello di formare un individuo nella sua dimensione relazionale e personale, che sappia interagire con autonomia e responsabilità nel corso della vita, attraverso strategie che si modellano e trasformano a seconda delle situazioni personali e professionali che si attraversano.

Oggi, però, la transizione fa ancora parte della nostra vita e non si può dire superata: gli individui e i sistemi la vivono quotidianamente e la attraversano e questo genera incertezza. Come possiamo intervenire a supporto della formazione dei nostri giovani, che rappresentano il futuro delle nostre società?

La scuola, agenzia educativa per eccellenza, l’unica presente (pur insieme ad altre) per un periodo così lungo nella vita dei giovani, durante l’età della formazione e della conquista dell’identità, debba ricevere la massima attenzione e il massimo investimento da parte delle Istituzioni, perché da essa e dalla sua efficacia educativa deriva il futuro del nostro Paese, delle nostre società e dei nostri cittadini, in un’ottica di società aperta, attiva e solidale.Compito della scuola, di una scuola che vive in questo tempo e che è consapevole dei cambiamenti continui e del  succedersi incessante di nuove  informazioni, che annientano le precedenti, è quello di insegnare a vivere e a stare con gli altri, di insegnare a smontare, verificare, provare le tante notizie/informazioni, che  travolgono ed entrano nella vita di ciascuno, apprendendo, grazie alla mediazione dei docenti, le procedure giuste e le capacità logiche per dominarle, conoscerle, utilizzarle, rielaborarle, interpretarle. Ma non solo questo. Ogni docente ha il dovere anche di guidare ogni studente all’esercizio della responsabilità verso sé stessi e verso gli altri, prendendo coscienza dell’esistenza di diritti ma anche di doveri come dell’importanza nella nostra società di vivere ed agire nel rispetto oltre che di se stessi, soprattutto degli altri.

La politica deve mettere al centro l’educazione, sostenendo la scuola nella costruzione di una nuova etica, nell’elaborazione di un nuovo sistema di valori, che sostituisca quello che è andato in frantumi, a cui ognuno possa far riferimento nella sua vita personale e professionale. Ma l’azione, pur strategica, della scuola di ricostruzione di un modello di vita fondato sui valori, va raccordato e completato attraverso un’azione di informazione e sostegno dei genitori, che appaiono sempre più disorientati e con i quali è necessario realizzare un nuovo “patto di corresponsabilità educativa”.

Questa è opera e responsabilità della scuola, perché il docente non è solo l’insegnante, profondo conoscitore di una disciplina e dei suoi metodi di interpretazione della realtà, ma è anche educatore, cioè colui che si preoccupa di aiutare lo studente ad aver fiducia in se stesso, a  tirare fuori tutte le sue potenzialità, a conoscersi, a sfidare i propri limiti e a superare gli ostacoli e i problemi che la vita gli presenta, a imparare a  vivere e lavorare insieme agli altri e per gli altri.

Il docente è, infatti, un maestro, un educatore, uno che ha a cuore la formazione a tutto campo di ogni suo allievo, come la professoressa di Caserta ha dimostrato. Con il suo gesto nobile, certamente  condiviso e compreso  dalla gran massa di docenti, che credono nel valore salvifico della loro missione, ha  posto prepotentemente all’attenzione di tutti la necessità di prendersi cura dei nostri giovani, investendo sulla scuola e sui docenti. Il prendersi cura significa interagire con essi in quanto persone e, in quanto tali, capaci  di comprendere e di valutare il valore dei loro gesti e delle loro azioni con responsabilità. Quello che il gesto della docente manifesta e che deve ridiventare il “collante educativo” della nuova figura di docente è l’importanza di avere passione, di sentire una forte motivazione, di saper dialogare e intrecciare una relazione educativa con i propri studenti, di credere in loro, di saper leggere e interpretare i loro bisogni, i loro talenti, le loro attitudini, ma anche le loro ansie, i loro  problemi, le loro difficoltà, siano essi evidenti o celati.Il nostro sistema educativo deve cambiare. Abbiamo approfondito l’argomento nel numero di aprile di Tuttoscuola.

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