150 ore per l’IA? Un saggio di Benvenuto e Di Menna
Si deve a due sindacalisti di punta della Uil, Giorgio Benvenuto, storico segretario generale del sindacato confederale dal 1976 al 1992, e prima della Uilm (metalmeccanici) dal 1969 al 1976, e Massimo Di Menna, segretario generale della Uil scuola dal 1998 al 2015, ma già attivo nei primi anni Ottanta, un agile saggio su un tema di viva attualità: come consentire che la conoscenza e la corretta fruizione dell’intelligenza artificiale (IA) e delle sue infinite applicazioni diventi un patrimonio di tutta la popolazione, e in particolare di quella adulta non più in età scolastica (Giorgio Benvenuto e Massimo Di Menna, Le 150 ore e l’intelligenza artificiale. 1973/2003, edizioni Federazione Uil Scuola-RUA, Roma, 2023).
Il saggio è stato scritto e pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario del contratto nazionale, sottoscritto dalla FLM per i lavoratori (firmarono Benvenuto, Trentin e Carniti) e da Federmeccanica per le aziende del settore, con il quale fu dato avvio alle “150 ore” (19 aprile 1973), seguito dalla circolare firmata dall’allora ministro dell’istruzione Franco Maria Malfatti (4 gennaio 1974) con la quale si attivavano i corsi, i programmi d’esame e i titoli di studio previsti, a partire dal diploma di terza media per i lavoratori in possesso del solo diploma di scuola elementare.
Si aprì così la possibilità per un grande numero di lavoratori sottoistruiti, e anche per questo sottopagati (al contratto dei metalmeccanici ne seguirono altri di diversi settori lavorativi, fino ad arrivare alle casalinghe), di rientrare nel circuito della formazione generale, finalizzata in primo luogo al pieno esercizio dei diritti di cittadinanza, tra i quali è fondamentale quello alla conoscenza.
Oggi, cinquant’anni dopo, una problematica simile si pone per l’IA, osservano gli autori del volume, perché una grande maggioranza dei lavoratori, e più in generale della popolazione adulta, rischia un nuovo genere di analfabetismo, provocato dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Per fronteggiarlo servirebbe un grande piano di acculturazione tecnologica di base. Perché allora non provare a ripetere l’operazione delle 150 ore, chiedono Benvenuto e Di Menna, con la stessa finalità, il consolidamento del diritto di cittadinanza, costituito allora dall’acquisizione di un titolo di studio per i molti che non l’avevano, e oggi da una padronanza almeno di base dell’IA per gli almeno altrettanti molti che non ce l’hanno? (O.N.)
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