La cattiva didattica maestra di dispersione

Sappiamo tutti che viviamo all’interno di una società liquida, nella quale i saperi invecchiano precocemente e per questo motivo è indispensabile non solo apprendere, ma anche imparare ad apprendere per rimanere a galla in un mondo caratterizzato da rapide e improvvise accelerazioni. Contemporaneamente è sotto gli occhi di tutti come ogni settore della nostra vita sia profondamente modificato, dalle comunicazioni, alla domotica, fino ad arrivare a come ordiniamo la cena la sera. Tutto si modifica, possiamo cenare con un click e comprare l’ultimo modello di scarpe uscite a Pechino, ma l’immobilismo di una certa visione della didattica resiste a ogni genere di cambiamento e, per assurdo si rafforza, traendo linfa dall’incapacità di uscire dalla logica del “si è sempre fatto così”. Tutto cambia, tranne la scuola, o, per meglio dire, il male principale della scuola, cioè i ragazzi che perde.

È una lettura didattica e pedagogica che voglio dare ai dati pubblicati ne L’editoriale di Roberto Ricci, responsabile delle prove Invalsi, “La dispersione scolastica implicita, purtroppo in linea con una triste tradizione che fa della nostra scuola una delle realtà più escludenti dell’intera zona OCSE.

I numeri, di fatto, sono impietosi: un alunno su cinque si trova nelle condizioni di non arrivare al diploma o, forse anche peggio, di ottenere il titolo di studio, senza avere le competenze richieste dopo un lungo percorso nella scuola. Questo fenomeno viene definito dispersione scolastica implicita, e si riferisce al 7% della popolazione scolastica italiana ed è forse il vero dramma emerso dall’editoriale di Roberto Ricci. Un dramma nuovo, fino ad ora poco chiaro e che vale la pena approfondire.

Questo perché se la percentuale della dispersione scolastica esplicita arriva al 14,5, ancora lontana dal 10% auspicato dall’Unione Europea per il 2020, segnalando comunque un sensibile miglioramento rispetto agli ultimi due anni, è la dimensione implicita a darci un dato preoccupante: anche chi raggiunge il diploma, nel 7% dei casi non sa cosa farsene. Ed allora forse dovrebbe essere profondamente rivista la modalità didattica del fare scuola oggi, tesa e preoccupata di preparare gli alunni per l’esame di Stato e forse poco consapevole che se si lavora sullo sviluppo delle competenze chiave e di cittadinanza individuate a livello europeo, non possono che crescere e svilupparsi anche le capacità di affrontare l’esame di Stato.

Diciamocelo senza paura: dal primo giorno di scuola della terza media e del quinto superiore molte, moltissime preoccupazioni dei docenti (figuriamoci degli studenti) sono rivolte a come poter allenare, a volte quasi addestrare, gli studenti in vista dell’esame di finale. Ovviamente queste preparazione sembrano quasi non tenere conto che si tratta della fine di un lungo percorso, che può essere letto anche seguendo una logica di continuità verticale, come se fosse l’ultimo allenamento prima di una maratona, preparato da anni. L’ultimo anno di scuola vive di luce propria, senza contatti col passato. Le interruzioni sono viste come il fumo negli occhi, gli approfondimenti non strettamente didattici temuti, le attività importanti, ad esempio legate alla cittadinanza e al benessere degli studenti, annullati. L’unico pensiero è rivolto all’esame di Stato, come se fosse una corsa ad ostacoli contro tutto e tutti.

Oggi i dati sulla dispersione scolastica implicita ci danno due conferme e una smentita.

Ci confermano che la buona didattica non può e non deve essere orientata al raggiungimento di un obiettivo esterno, come un esame, un compito o uno specifico colloquio. La didattica, intesa come propone Italo Fiorin, cioè come scienza e arte della relazione tra insegnamento e apprendimento all’interno di un contesto, deve orientare gli alunni verso il proprio successo formativo, tenendo conto delle particolarità, passioni e inclinazioni di tutti gli alunni. Evidentemente questo obiettivo è irraggiungibile con la lezione frontale.

I dati presentati sono anche la conferma che è possibile promuovere un apprendimento significativo e di qualità, ma bisogna avere il coraggio di innovare, cambiare e crescere: la prova sono i dati del Trentino e del Veneto e in generale del nord Italia, che mostrano risultati positivi e che confermano che una scuola migliore è veramente possibile.

I dati smentiscono l’idea che una scuola normativa, trasmissiva e contenutistica sia la strada migliore per il successo formativo. Imparare a memoria forse aiuterà i nostri studenti a superare l’esame, ma poi questo risultato, sarà di qualche utilità per i nostri ragazzi?