Caro diario,
mi sento un’eroina: ho guardato e ascoltato, senza mai stoppare e trovare scuse per chiudere il pc, i ventidue minuti di videolezione asincrona in cui il collega proietta quattro pagine del libro di geografia e le commenta.
Mi sento come se avessi scalato una montagna o mi fossi aggiudicata il massimo dei voti e la tentazione di scrivere ai ragazzi per sapere quanti di loro sono riusciti nell’impresa è veramente tanta, perché rimanere immobili, quando un docente struttura la lezione frontale in presenza, è da meritevoli, a distanza, è da eroi, se poi hai bisogni educativi speciali, allora, è da supereroi.
Se ripenso alla videolezione mi immedesimo immediatamente in Martino, che in classe fa fatica a stare seduto, e in Vittoria che, alla vista dei 22 minuti, chiude il pc, pensando: “Non lo ascolto in classe, figuriamoci a casa”.
Lo ammetto: non sono affatto gratificata, ma spaventata. La didattica a distanza potrebbe far regredire la scuola di 50 anni e trasformarsi in didattica trasmissiva pura con un alunno che guarda, ascolta ed esegue e con il rischio che lo sviluppo dell’autonomia dei ragazzi sia interamente a carico delle famiglie e quello dell’apprendimento degli alunni con BES solo del docente di sostegno.
La paura ce l’ho tutte le volte che metto a confronto gli stili di insegnamento dei colleghi, senza giudizio, ma solo con la preoccupazione che il mio lavoro è concatenato al loro. Non prendo in considerazione quelli che sono spariti – sono pochi, ma ahimé ce ne sono – ma a quelli che hanno ridotto la flipped education e la didattica digitale nel parlare (davanti o dietro) ad una webcam con un libro aperto.
Se tutto ciò dovesse procedere su questa strada, il mio lavoro non avrebbe più motivo di esistere.
“L’inclusione – si legge in un meraviglioso libro dedicato agli alunni con BES – si applica a tutti gli alunni, come garanzia diffusa e stabile di poter partecipare alla vita scolastica e di raggiungere il massimo possibile in termini di apprendimento e partecipazione”.
Il Coronavirus ci ha tolto “la vita scolastica”, se noi alla scuola togliamo anche la “partecipazione” cosa rimane dell’inclusione?
È questa la domanda che mi spaventa e che mi pongo tutte le volte in cui il coinvolgimento degli alunni non viene richiesto nella dad.
Sara
Leggi i precedenti articoli di Vita di un’insegnante di sostegno a distanza:
Vita di un’insegnante di sostegno… a distanza: senza stella polare non #andràtuttobene
Vita di un’insegnante di sostegno… a distanza: il compito di decriptare per includere
Vita di un’insegnante di sostegno… a distanza: il Coronavirus ci ha tolto l’inclusione, ma non i suoi principi
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