#abbracciarecongliocchi #lascuolaadistanza
Caro diario,
se gli occhi potessero abbracciare come solo sanno fare gli arti superiori, tutto sarebbe più facile, al tempo del Coronavirus.
Elisa ha perso il papà l’altro ieri e io spaccherei tutto dalla rabbia, ma sono adulta, lo so, non posso farlo; ma poi perché non posso? La situazione fa schifo e io mi sento doppiamente impotente, perché l’unica cosa che mi viene concessa fare, a distanza, è “parlare”; ma cosa vuoi dire a chi perde un padre a 13 anni? Niente. Non c’è niente da dire. Niente.
Questa notte ho sognato di essere in aula e di aver assegnato alla classe una serie di esercizi di matematica da svolgere con il vicino di banco. Ricordo bene di non aver fatto cenno sull’accaduto, ma di essermi avvicinata a lei e di averle messo la mano sulla spalla e di averle dato un buffetto sulla guancia.
Oggi, invece, mi trovo davanti ad uno schermo, mentre la collega fa lezione. Ho gli occhi puntati sulla sua webcam accesa e non so come farla sentire avvolta dal mio sguardo. Guardiamo tutti e sembra che non guardiamo nessuno.
La lezione finisce e io non riesco a non intervenire: “Ragazzi? Scusate prima di chiudere. Oggi pomeriggio vogliamo organizzare una meet di recupero e potenziamento per fare il punto della situazione sulle difficoltà e criticità? Confrontarci anche sul percorso d’esame?” Non me lo fanno ripetere due volte e l’incontro viene fissato alle 17.00. Non importa come andrà, importa solo che Elisa, pur rimanendo in una casa dove tutto le ricorda il padre, avrà la possibilità di essere coinvolta operativamente su qualcosa che possa farla sentire produttiva in un momento tragico come quello che sta vivendo. Io non posso compiere i miracoli, ma ho 18 ore nella sua classe e anche se a distanza le sfrutterò fino all’ultimo centesimo di secondo per farle sentire che ci sono.
Sara
Leggi i precedenti articoli di Vita di un’insegnante di sostegno a distanza:
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