Trasformazione digitale nelle scuole: dall’apprendimento per prudenza, a quello dell’audacia

Concludiamo la pubblicazione su tuttoscuola.com del documento “Trasformazione digitale nella scuola” di Giovanni Campagnoli ed Emanuela Negri. Di seguito una nuova parte.

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Le tecnologie non hanno più le “istruzioni per l’uso”, o meglio non c’è solo un modo per ottenere un risultato, ma più percorsi, che vengono selezionati sulla base delle proprie “mappe mentali” (un esempio è chiedere alle persone come inseriscono un nuovo contatto nella rubrica o come condividono un numero di telefono…). Questo è un grande insegnamento: vi è la possibilità di non valutare  più la “conformità” ad un’unica procedura (magari selezionata da una persona sola), ma la capacità di produrre risultati. Con questo approccio, l’apprendimento può partire anche dalla scoperta, dalla necessità di conoscenza per svolgere un compito che richiede una produzione vera e propria e questa diventa un “fatto pubblico” in quanto viene restituito e reso visibile alla comunità scolastica e territoriale. Un esempio può essere il partire da un fatto oggettivo di questo periodo (le scuole vuote) e chiedere a ragazze/i di trovare strategie per riempirle. Un esempio è questo video rendering dove i ragazzi della Media del don Bosco di Borgomanero (No) sono stati i curatori di una mostra su Magritte e Avanguardie, andando a riempire i vuoti delle aule con creatività, competenze, arte e passione, v. https://youtu.be/5XT5GhZoMlc (v. Tab. 4)

Tab. 4. Compito di realtà: Riempire il vuoto della scuola
Il progetto è nato con il lockdown, la necessità di coinvolgere gli studenti nell’apprendimento rendendoli parte attiva genera un percorso estremamente interessante e innovativo: le classi lavorano sull’argomento selezionato in una sorta di flippedclassroom a distanza che permette di introdurre la proposta. Successivamente si lavora sulle abilità descrittive chiedendo agli studenti di realizzare le audioguide di un’ipotetica mostra realizzando contenuti digitali. Le competenze vengono mobilitate inconsapevolmente: si chiede agli studenti di modulare la propria voce e di correggere la pronuncia e riascoltandosi iniziano lavorare sulle competenze comunicative. Contemporaneamente si chiede di pensare a percorsi tematici: il docente prosegue le lezioni teoriche ma la sintesi viene richiesta ai ragazzi che devono trovare dei legami di senso in un percorso, come se fossero curatori di una esposizione museale. Il lavoro si sarebbe concluso con una valutazione degli elaborati prodotti ed una prova di valutazione rispetto alla rielaborazione dei contenuti (già complesso nella didattica a distanza). La vera competenza è la produzione di un prodotto finale che metta in gioco creatività, ingegno e cooperazione: gli studenti a cui viene richiesto “come valorizzare il percorso svolto” rispondono in modo straordinario andando a costruire un “Museo virtuale” con sale tematiche proprio negli spazi oggi vuoti della scuola. Non si tratta di un docente illuminato che guida gli alunni-ammaestrati verso l’apprendimento ma di una scuola che fornisce a dei ragazzi di terza media la libertà di espressione che, ancora una volta stupisce gli adulti. La barriera della distanza non ha frenato la progettazione e la cooperazione tra studenti e tra docenti: condivisione, dialogo e cooperazione si innescano rapidamente per la costruzione di un percorso straordinario che, nella sua fase finale diventa anche bilingue, coinvolgendo i docenti di Lingua Straniera che considerano il progetto come una opportunità per correggere la pronuncia e lavorare sulla traduzione.

In conclusione, la didattica è finalizzata ad innalzare i livelli di apprendimento e all’inclusione; la Scuola sviluppa socialità, i docenti qualità e relazioni di apprendimento, gli studenti sono protagonisti dell’apprendimento, genitori e comunità sono co-autori/ co-attori dei percorsi scolastici. Rispetto alla dicotomia tra didattica in aula e a distanza, sempre più sarà necessario un mix sulla base di quanto detto in precedenza, stando però sempre attenti a non escludere nessuno sia rispetto alle persone (la mission della scuola è l’inclusione e l’attenzione alle difficoltà di apprendimento), sia a sicurezza e privacy, sia alle infrastrutture (già oggi c’è un divide di connessione, si immagina cresca con l’arrivo del 5 G, la “quinta generazione”).

Riprendendo le parole di Alessandro Baricco, si può ipotizzare che anche nella Scuola ora “Stiamo facendo pace col Game, con la civiltà digitale (…) In questo senso il caso Covid 19 ci permette di passare dalla fase 1, quella della prudenza, alla fase 2, che dovrà essere quella dell’audacia”[1].

Tab. 5: Dalla prudenza all’audacia
Stiamo facendo pace col Game, con la civiltà digitale: l’abbiamo fondata, poi abbiamo iniziato a odiarla e adesso stiamo facendo pace con lei. La gente, a tutti i livelli, sta maturando un senso di fiducia, consuetudine e gratitudine per gli strumenti digitali che si depositerà sul comune sentire e non se ne andrà più. Una delle utopie portanti della rivoluzione digitale era che gli strumenti digitali diventassero un’estensione quasi biologica dei nostri corpi e non delle protesi artificiali che limitavano il nostro essere umani: l’utopia sta diventando prassi quotidiana. In poche settimane copriremo un ritardo che stavamo cumulando per eccesso di nostalgia, timore, sospetto o semplice fighetteria intellettuale. Ci ritroveremo tra le mani una civiltà amica che riusciremo meglio a correggere perché lo faremo senza risentimento. Chiunque si è accorto di come gli manchino terribilmente, in questi giorni, i rapporti umani non digitali

Un vantaggio è che a differenza di altre tipologie di innovazioni, oggi quelle digitali sono gratis (o comunque “lowcost”[2]), condivise e contano “solo” sull’impegno all’uso delle persone… I docenti che hanno sperimentato questo periodo dovranno fare l’inventario delle nuove competenze acquisite e capire, in team, “cosa tenere e cosa buttare” di questa esperienza intensiva. Dovranno probabilmente “disintossicarsi” un po’ da questa “dieta digitale” durata dai tre ai quattro mesi (ci sono anche gli esami di fine ciclo…) e poi valutare quanto è stato efficace questo “smartworking”, quali modifiche ha comportato (di atteggiamenti, comportamenti, stili cognitivi, dimensione relazionale, affettiva ed emotiva, di identità professionale[3] e di auto rappresentazione), analizzare eventuali nuovi stili di apprendimento e di cognizione (da analogico a digitale proprio e degli studenti), quali gli effetti della continuità tra “reale e virtuale”, i rischi della “connessioni continua”, h. 24, molto pervasiva (i docenti che lavorano a distanza lavorano di più), ma anche lo sviluppo di relazioni – all’interno della comunità professionale – di legami e lo stare in un ambiente che offre nuove dimensioni del concetto di presenza e partecipazione. 

 

 

[1] Baricco A. (2020), Virus, è arrivato il momento dell’audacia, La Repubblica, 25 marzo 2020,. V. https://medium.com/@bariccoale/virus-è-arrivato-il-momento-dellaudacia-4cba63fcb77d .
[2]Da non dimenticare le tante azioni di “solidarietà digitale” di questo periodo: Gigabytes, software e APPS regalati dalle aziende (che hanno sentito la responsabilità sociale del momento), abbonamenti in omaggio a riviste e quotidiani on line, così come a piattaforme.
[3] Il docente che afferma “Mi ritrovo a parlare utilizzando probabilmente gli stessi termini che usa uno Youtuber…”.