Smartphone a scuola sotto accusa, ma c’è chi lo inserisce in una visione più ampia

Secondo Daniela Di Donato – docente di italiano al liceo scientifico ed esperta di metodologie didattiche, inclusione e uso delle tecnologie digitali a scuola, Dottoressa di ricerca in Psicologia sociale, dello sviluppo e della Ricerca educativa (Università di Roma La Sapienza) – “nelle mani di insegnanti competenti, l’uso dei dispositivi a scuola è un vantaggio, non una iattura. Proibirne l’uso è controproducente oltre che miope”.

È quanto la docente e ricercatrice sostiene a conclusione di un argomentato intervento pubblicato su Agendadigitale.eu (7 maggio 2024). “Quello di cui c’è bisogno”, invece, “sono nuove alleanze educative, che si basino su ricerca, metodologie e pratiche condivise”.

Dopo una documentata rassegna della letteratura internazionale sulle conseguenze positive e negative della iperdiffusione planetaria degli smartphone, Di Donato approfondisce in particolare il caso italiano, avvalendosi di dati ISTAT e della XIV edizione (2023) dell’“Atlante dell’infanzia a rischio” di Save the Children.

In Italia sono attivi più di 50 milioni di smartphone, gli strumenti di comunicazione oggi più utilizzati dalla popolazione. Anche se l’Italia resta sotto la media europea per alcuni tipi di utilizzazione del digitale (il Digital Economy and Society Index – noto come indice DESI – posiziona l’Italia al 18° posto in UE per quanto riguarda il progresso verso un’economia e una società digitale), il 91,7% del totale delle famiglie italiane accede a Internet da casa, e il 22,4% (5,5 milioni di famiglie in valore assoluto) lo fa solo attraverso lo smartphone. Portabilità, semplicità di utilizzo, multitasking sono le caratteristiche premiate dagli italiani. Non è pensabile che la scuola resti immune da questo gigantesco processo di digitalizzazione della comunicazione, anche se non mancano (come all’estero) preoccupazioni per gli effetti negativi della utilizzazione degli smartphone in classe sia dal punto di vista didattico (deconcentrazione) sia da quello della socializzazione (comunicazione online anziché personale). Di qui l’idea di limitarne o addirittura vietarne l’uso.

Ma, sostiene Di Donato citando numerosi studi internazionali, riportati anche dall’Atlante di Save the Children, una risposta solo repressiva, securitaria, non sarebbe efficace, anzi tenderebbe a creare più problemi. Per questo sarebbe preferibile puntare anche a scuola sullo “sviluppo di condizioni in cui studentesse e studenti sono in grado di incanalare l’uso dei media digitali verso un senso di comfort, sicurezza, soddisfazione e appagamento”. E aggiunge: “Nelle mani di insegnanti competenti, e direi anche creativi, l’integrazione di più dispositivi a scuola non è una maledizione, ma un vantaggio (AITameemy), 2017)”.

Oltretutto, fa presente la professoressa, nella mappa europea sulle competenze digitali delle persone tra i 16 e i 19 anni (che da noi frequentano gli ultimi anni della scuola secondaria superiore), “l’Italia si posiziona quart’ultima per la quota di giovanissimi con scarse o nessuna competenza (sono il 42% rispetto ad una media europea del 31%)”. Un ritardo che può essere recuperato solo in positivo, intervenendo, e non in negativo, vietando. Ad esempio un corretto e diffuso uso dei tablet in classe a soli fini didattici (difesi anche da Valditara: “il tablet è importante, c’è in tutte le scuole primarie”), sotto il pieno controllo dei docenti che stabiliscono cosa lo studente vede sul tablet, può consentire non solo di fare una didattica digitale coinvolgente e in grado di stimolare la creatività, ma anche di sviluppare una buona alfabetizzazione informatica e un competente ed equilibrato rapporto con i dispositivi tecnologici, smartphone incluso.

Difficile? Certo, ma anche in Italia non mancano esempi eccellenti di uso positivo dei dispositivi informatici a scuola, come Tuttoscuola ha più volte segnalato, dall’ITET “L. Einaudi” di Bassano del Grappa, all’IC Ungaretti di Melzo, all’IC n. 3 di Modena. Il problema è quello di trovare il modo per fare delle eccezioni una regola.

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