La scuola di Trump contro cancel culture, wokismo e teoria critica della razza

Secondo autorevoli commentatori, tra le ragioni del netto successo registrato da Donald Trump nelle elezioni del 5 novembre 2024 (da nessuno previsto nelle sue dimensioni) sta la sua dichiarata ostilità alle correnti di pensiero e ai movimenti che negli ultimi anni si sono affermati in molte università e scuole americane all’insegna di una radicale contestazione della cultura e dei valori tradizionali, che Trump ha avuto buon gioco ad attribuire agli ambienti più progressisti (liberal) del Partito democratico di Obama, di Biden e dell’afroasiatica Kamala Harris, una californiana di padre giamaicano e madre indiana, entrambi immigrati negli Stati Uniti.

Il Partito democratico ha avuto probabilmente il torto di non prendere le distanze in modo chiaro dalle punte estreme di tali movimenti che, soprattutto dopo l’omicidio di George Floyd (maggio 2020), hanno giustificato, considerandoli politically correct, l’abbattimento di statue e simboli della colonizzazione europea e “bianca” del territorio americano, il rifiuto della cultura “occidentale” giudaico-cristiana, da rileggere criticamente o censurare pesantemente applicando una sorta di modello controculturale, definito “cancel culture”, l’allarme sistematico (woke significa “attenti!) contro ogni forma di reale o supposta prevaricazione, soprattutto di genere e di razza, l’insegnamento nelle scuole e nelle università della teoria critica della razza (CRT, Critical Race Theory), secondo la quale il razzismo non è il frutto di pregiudizi ma un fenomeno sistemico, radicato nelle leggi e nelle politiche, risultato del predominio violento della razza bianca (white power, suprematismo bianco) su tutte le altre.

Idee e azioni sovraccariche di ideologia che hanno spaventato non solo i tradizionalisti e i conservatori ma anche i moderati e – c’è da credere, visti i risultati delle votazioni – anche una parte dell’elettorato democratico. Così a Trump (che invece ha davvero, sulla scuola, idee conservatrici, come abbiamo messo in luce qui e qui), è bastato non dire nulla in campagna elettorale, e Kamala Harris non ha avuto la lucidità di prendere le distanze dai suoi supporter più ideologizzati. I quali peraltro, probabilmente, non hanno neanche votato per lei: l’astensione riflette di più il rifiuto radicale di un “sistema” giudicato strutturalmente iniquo e irriformabile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA