La lezione del prof. Draghi

La “Lectio magistralis” tenuta dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi in occasione dell’inaugurazione del centesimo anno accademico della facoltà di economia dell’università di Roma La Sapienza è degna di nota.
In primo luogo per il crudo realismo delle sue considerazioni, e poi per il fatto che non era mai successo (con la parziale eccezione di Luigi Einaudi) che un governatore dedicasse tanta attenzione al carattere di investimento strategico della spesa per l’istruzione. Attenzione, però: non di una spesa considerata nel suo volume (quantità di risorse finanziarie) ma nella sua composizione e destinazione (qualità, efficacia).
Il governatore nelle Considerazioni finali del maggio scorso aveva già sottolineato il ritardo del nostro sistema educativo rispetto a quello degli altri paesi, richiamando tra l’altro la necessità di introdurre pratiche valutative del lavoro scolastico, di valorizzare il merito e la professionalità.
Mario Draghi non ha sollecitato, in effetti, maggiori risorse per l’istruzione considerata nel suo complesso, ma una redistribuzione della spesa, partendo dalla considerazione che in Italia “la spesa per studente nella scuola dell’obbligo e in quella secondaria è più elevata rispetto alla media dei paesi dell’OCSE“, mentre il contrario avviene per l’istruzione universitaria, settore nel quale, peraltro, vanno incentivati l’innalzamento degli standard di qualità nella ricerca e nella didattica, e la concorrenza tra le diverse sedi. E va altresì ridotto l’attuale enorme e abnorme tasso di dispersione, quasi doppio rispetto a quello medio dell’area OCSE (ciò che farebbe automaticamente salire l’indice della spesa per studente).
L’analisi svolta dal governatore della Banca d’Italia non è certo destinata a raccogliere consensi in ambito sindacale, perché se coerentemente sviluppata condurrebbe ad un sensibile contenimento delle assunzioni nella scuola nei prossimi anni, alla riduzione della frammentazione degli insegnamenti, in particolare negli istituti tecnici e professionali, “che non si traduce in una migliore qualità dei risultati scolastici” (ciò comporterebbe riduzioni di orario e di cattedre), e all’aumento della concorrenza tra gli istituti, legata a parametri di qualità e a “modalità di finanziamento che da un lato premino le scuole migliori e dall’altro trasferiscano risorse direttamente alle famiglie per ampliarne la possibilità di scelta“. Una “lectio” davvero severa (e autorevole), quella del prof. Draghi…