Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM), Gelmini: ‘Professori universitari percepiscono più del doppio di quelli AFAM. Aumentare loro indennità integrativa’

Alta formazione artistica, musicale e coreutica, una realtà varia e composita, distribuita sull’intero territorio del nostro Paese. Parliamo di conservatori, di accademie di belle arti, di accademie di danza e di arte drammatica, di istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA). Ben 145 istituzioni di cui 82 statali. I conservatori sono ben 55, le accademie di belle arti 20. E all’interno oltre 87mila studenti e circa 10mila docenti di cui oltre 7mila di ruolo. Senza contare il settore amministrativo. Una realtà che, secondo l’ex ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, non sarebbe ancora riconosciuta come dovrebbe: “Dobbiamo parlare del futuro dell’AFAM, e di quello che la politica può e anzi deve fare per salvare l’AFAM dal limbo burocratico che lo attanaglia ormai da un quarto di secolo”, ha detto nel corso dell’incontro “Quale futuro per l’AFAM?” che si è tenuto lo scorso 7 maggio a Roma.

“A prima assunzione – ha spiegato Gelmini, Vicesegretario e Portavoce di Azione – un professore universitario percepisce più del doppio di un professore AFAM: 64 contro 26 mila euro lordi l’anno. A fine carriera la forbice si allarga: il professore universitario percepisce più del triplo del professore AFAM: 131 contro 39mila euro lordi l’anno. Insomma, se tiriamo le somme, ne deriva che lo stipendio di un professore AFAM a fine carriera è inferiore ai due terzi dello stipendio di un professore universitario a prima assunzione. Ma la sperequazione in realtà è molto più grande, perché i professori universitari raggiungono la massima anzianità di servizio dopo soli 28 anni, contro i 35 dei professori AFAM. Vero è che i Professori AFAM percepiscono un’Indennità integrativa speciale che in teoria li distinguerebbe dagli insegnanti di scuola. In pratica però anche i professori universitari percepiscono la stessa indennità, oltre un terzo più alta di quella dei professori AFAM”.

“C’è poi la questione accessoria ma non marginale della ricerca – ha detto ancora l’ex ministra – : al netto della possibilità di fare domanda per PRIN e borse di dottorato, l’attività di ricerca individuale dei professori AFAM (inclusa la partecipazione a convegni internazionali) grava interamente sulle spalle degli stessi professori, non essendo disponibili fondi ad hoc da cui attingere. Non indifferente è anche il problema della validità del titolo all’estero. La Legge 508 del 1999 ha inserito l’AFAM nel sistema universitario. E difatti per accedere all’AFAM, proprio come per accedere all’università, occorre possedere un diploma di scuola superiore. Già a partire dal 1999 l’AFAM può assegnare lauree, oggi lauree triennali e magistrali. Ma queste lauree sono formalmente identificate come ‘diplomi di alta formazione’ e non come lauree, e ciò crea non poca confusione all’estero; e in alcuni Paesi il ‘diploma di alta formazione’ italiano non è proprio riconosciuto come laurea”.

Per la senatrice Mariastella Gelmini le possibili soluzioni politiche potrebbero essere due: “La prima è quella più logica: l’equiparazione giuridica in toto, dall’oggi al domani —con la conseguente integrazione dell’AFAM con le sue sedi nella rete delle sedi universitarie, eventualmente tramite il modello del ‘Politecnico delle arti’ (un conglomerato di sedi AFAM limitrofe, che si è cominciato a sperimentare, con ottimi risultati, a Bergamo e a Firenze). Questa soluzione però pone due problemi operativi. Il primo è di natura finanziaria: stiamo parlando di una manovra da 150-200 milioni all’anno. Non è semplicemente una questione di opportunità, ovvero di chiederci se sia giusto investire una somma così imponente nell’AFAM senza dare una contropartita all’università—che è molte altre cose oltre allo stipendio dei professori, e certo non naviga nell’oro. Ma è anche una questione di mera liquidità: dove li prendiamo questi 200 milioni all’anno?  Il secondo problema è di natura logistica: alludevo prima all’integrazione dell’AFAM nella rete universitaria. Prima di fare il “grande passo” bisogna assicurarsi che la burocrazie e le infrastrutture siano pronte ad accogliere e recepire il cambiamento, nel migliore interesse di professori, studenti e dipendenti amministrativi. Da questo insieme di considerazioni scaturisce la seconda soluzione, con un costo iniziale più modesto, ma senz’altro l’unico modo per liberare l’AFAM dalla sua gabbia retributiva in tempi brevi. Parlo di un aumento dell’Indennità integrativa speciale dei professori AFAM. Partendo da un impegno iniziale di qualche decina di milioni l’anno, aumentare gradualmente l’Indennità integrativa dell’AFAM permetterà di equipararli—in un percorso che si definirà passo dopo passo—agli omologhi dell’università”.

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