Reclutamento precari: la difficile mediazione del premier

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Partiti di maggioranza e opposizione, sindacati e docenti precari, sono tutti in attesa del “lodo Conte”, cioè della proposta di mediazione rimessa al premier dopo il risultato inconcludente del lungo confronto di venerdì sera a Palazzo Chigi tra M5S e IV, da una parte, e PD e Leu dall’altra.

L’argomento del contendere, come è ormai noto, è la diversa tipologia di reclutamento per immettere in ruolo da settembre circa 10-12 mila docenti precari (i restanti 20-22 saranno distribuiti nell’arco dei successivi tre anni).

Ma indubbiamente ci sono anche altre ragioni non dichiarate che vanno ben oltre la questione del concorso (esami e titoli oppure solo titoli) e che attengono piuttosto ai rapporti di forza dei partiti della maggioranza in una logica di continuità con quanto nei giorni scorsi si è visto in Parlamento in occasione del voto di sfiducia verso il Guardasigilli.

La posizione di Italia Viva che si è schierata non tanto a fianco del M5S, quanto contro il PD ne è una prova.

Sono ore di attesa molto delicate che suggerirebbero di non disturbare il mediatore o, quanto meno, di osservare una specie di silenzio elettorale non solo per non condizionarlo (o irritarlo), ma soprattutto per non affermare come immodificabili le posizioni espresse nel fallito confronto di Palazzo Chigi, con il rischio di rimanere di lì a poche ore con il cerino acceso e di pregiudicare l’esito della mediazione.

Eppure la sen. Granato, capogruppo del M5S in Commissione istruzione del Senato, nel pomeriggio di sabato ha firmato un comunicato dai toni perentori: “la nostra linea non cambia”, “il merito sia centrale”. E ha cercato di tirare per la giacca il capogruppo del PD, Andrea Marcucci, che avrebbe dichiarato di non volere rinunciare al merito e alla selezione. La Granato è poi ritornata sul tema con un ulteriore comunicato di domenica, in cui – forse di fronte alla consapevolezza della insufficienza dei tempi tecnici – ha preso in considerazione il posticipo della prova, ma chiarendo che “l’eventuale differimento della prova debba discendere esclusivamente da necessità di sicurezza (…). Se chiediamo ai nostri ragazzi di svolgere la maturità in presenza, questo deve valere anche per il concorso dei docenti. Dunque il rinvio può avvenire, ma solo come ipotesi di ripiego se le condizioni di sicurezza legate all’emergenza coronavirus, lo richiedessero”. Filtra insomma l’ipotesi di chiedere agli esperti – e quindi al Comitato Tecnico Scientifico – di valutare la sostenibilità dell’esame in estate, in base all’andamento epidemiologico.

Ma la capogruppo del M5S a ha tenuto a precisare: “Marcucci sa benissimo che la sola idea di assumere i docenti a settembre per poi fare una prova dopo un anno può rappresentare l’ennesima forma di elusione del problema. (…) Ma soprattutto: è in grado, il capogruppo del partito democratico al Senato, di garantire che al termine dell’anno scolastico, sia possibile garantire una prova davvero selettiva? È in grado di assumersi la responsabilità di dire che al termine dell’anno vi sarebbe una percentuale di quei docenti che saranno respinti? E soprattutto: quanti ricorsi si scatenerebbero in quel caso?”

Non è una buona premessa per l’auspicata mediazione, a meno che, temendo il peggio, la sua dichiarazione voglia essere una testimonianza di principio di chi vuole restare in piedi, nel caso, da sconfitto.