Intesa Governo-Sindacati: difesa del potere d’acquisto e stipendi europei

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Oltre all’impegno a salvaguardare l’unità e l’identità culturale del sistema nazionale di istruzione (forse un po’ generico, ne parliamo in altra news), i sindacati hanno strappato al Governo altri impegni (che il Governo dovrà onorare, ovviamente se avrà sufficiente vita), grazie ai quali hanno deciso di sospendere lo sciopero generale che avrebbe potuto creare qualche contraccolpo politico alla vigilia del voto per le europee.

Per l’aspetto retributivo il Governo si è impegnato a garantire nel triennio il recupero graduale del potere d’acquisto delle retribuzioni del personale scolastico e, contestualmente ad avviare un percorso per un graduale avvicinamento alla media dei livelli salariali di altri Paesi europei.

Obiettivi tra di loro complementari e che comportano oneri finanziari non indifferenti, difficili da attuare in tempi brevi. Vediamo perché.

Per avere un’idea del gap salariale medio di un docente italiano rispetto ad un collega europeo si può prendere a riferimento l’aumento medio percentuale dell’ultimo CCNL (2016-2018), rispetto al precedente del 2006-2009; l’aumento è stato del 3,5% per ogni profilo professionale e per ogni posizione stipendiale.

Prendendo a confronto la posizione stipendiale media di carriera (15 anni), il gap percentuale tra la retribuzione di un docente italiano rispetto a quello medio dei colleghi europei oscilla tra il 18,2% dei docenti dell’infanzia e il 29,4% dei docenti della primaria, mentre per i professori di scuola media è del 24,3% e per quelli delle superiori del 26,7%.

Se gli aumenti tra il vecchio CCNL e quello attuale sono stati pari soltanto al 3,5%, per colmare il differenziale con i colleghi europei occorrerebbero risorse equivalenti ad almeno sette-otto contratti di quella entità.

Ammesso di arrivarci un giorno, parecchi degli insegnanti in servizio faranno in tempo ad andare prima in pensione.