Governo Meloni/1. Bilancio di due anni in cerca di un centro di gravità. Permanente?
Come Franco Battiato nella sua celebre canzone, anche Giorgia Meloni sembra aver dedicato questi primi due anni del suo governo alla ricerca di un centro di gravità: di una collocazione del suo partito – fuor di metafora – nello spazio di un conservatorismo democratico definitivamente post-fascista e rispettoso della Costituzione repubblicana, costitutivamente antifascista. Ci è riuscita? E si tratta di un nuovo centro di gravità permanente?
A giudicare dalle ricorrenti polemiche politico-mediatiche che si susseguono nello scenario nazionale, spesso da posizioni non sopra le parti, con reiterate accuse di fascismo, neofascismo, criptofascismo orbaniano, lepenismo et similia, si direbbe di no. Ma a livello internazionale la musica è diversa. Molti autorevoli giornali – dal tedesco Die Zeit allo spagnolo El Pais al londinese Times – riconoscono che tra la Meloni di lotta pre elezioni del 2022 (nazionalista, euroscettica, populista in economia) e quella di governo (atlantista, europeista e responsabile sul piano della politica economica e sociale) c’è una differenza sostanziale, fatta spesso di scelte che rovesciano le posizioni precedenti.
L’analisi di queste testate è condivisa anche da Le Monde, che in ampio servizio pubblicato lo scorso 23 ottobre, con richiamo in prima pagina, ripercorre i due anni della carriera di Giorgia Meloni da Presidente del Consiglio, durante la quale la premier ha saputo “scollarsi di dosso la continua propaganda della sinistra sulla sua appartenenza al mondo neo-fascista” diventando addirittura una “maestra del gioco politico”.
“Venuta dai margini post-fascisti, si legge nel quotidiano francese, “la presidente del consiglio, in due anni, ha consolidato il suo potere e rafforzato i legami con i conservatori europei”, riuscendo di fatto a “imporsi a Roma come a Bruxelles” anche grazie alla “stretta relazione costruita con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen”.
Una ricollocazione nell’area liberal-democratica, sia pure nella chiave di un riformismo neoconservatore, che all’interno dello schieramento di destra-centro è stata sostenuta dal ministro Giuseppe Valditara, ora leghista, ma a lungo (2001-2013) senatore dell’AN di Gianfranco Fini, che l’ha anche teorizzata in alcuni suoi libri (L’Italia che vogliamo, e soprattutto La scuola dei talenti), e per ora praticata solo in parte. Ne parliamo nella notizia successiva.
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