Divari educativi/2: trovare in Italia una nuova strada

Nelle varie tabelle della ricerca OCSE sui divari educativi l’Italia figura tra i Paesi con minori possibilità di utilizzare gli insegnanti migliori nelle scuole che più ne avrebbero bisogno.

Purtroppo non è una sorpresa. Ci siamo dotati di un sistema accentrato e uniforme dal punto di vista organizzativo e finanziario, che affida la libertà di scelta all’insegnante e non alla scuola, ovvero al lavoratore e non al datore di lavoro: caso molto raro nel settore a livello planetario, molto accentuato rispetto a quanto avviene in altri comparti pubblici nel mondo ma anche nel nostro Paese, e addirittura inimmaginabile nel settore privato.

Un sistema, il nostro, che insomma mal si presta a rendere efficace il contrasto ai divari educativi, e per la verità anche poco in sintonia con la ratio e con l’impianto concettuale dell’autonomia scolastica (si potrebbe parlare sotto questo profilo di autonomia del lavoratore – posto al centro del sistema – piuttosto che di autonomia della scuola intesa come comunità educante che svolge la propria missione al servizio dello studente).

La cosiddetta “chiamata diretta” prevista dalla legge 107/2015 è stata di fatto boicottata. Probabilmente era mal congegnata, certamente è stata proposta con vistosi limiti comunicativi e con ancor più gravi errori di mancato coinvolgimento degli stakeholder nel processo stesso di formulazione della norma (la non ricerca della condivisione come processo che rivolge profonda attenzione al punto di vista e alle esigenze di tutte le parti coinvolte raramente porta ai risultati sperati), ma ciò non vuol dire che non ponesse un tema strategico. Ora che si è creato via via un maggior distacco rispetto al clima di aspra polemica e contrapposizione dell’epoca, la questione dell’abbinamento tra scuole e insegnanti andrebbe riconsiderata con lucidità e serenità, a partire dal contrasto ai divari educativi. La stessa cosa si può dire per un altro provvedimento previsto da quella legge e rimasto di fatto inattuato, l’obbligo di formazione. Ci permettiamo di dire che un’occasione per porre con forza la questione al centro del dibattito è rappresentata dalla riforma del reclutamento (prevista dal PNRR) e dalla invocata risoluzione della situazione dei precari di lungo corso: partite che non vanno disgiunte dalla definizione dei provvedimenti applicativi/contrattuali del principio stabilito dalla legge 107 (“la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale”). Tenere le due partite distinte continuando a lasciare l’obbligo di formazione “appeso” sarebbe miope, strategicamente e politicamente.

Questioni ineludibili (che si legano peraltro all’introduzione di uno sviluppo professionale, alla valutazione e alla gestione flessibile dell’organico. Ma andiamo per gradi). Chi si approccia alle politiche dell’educazione con obiettività, e sempre mettendo al centro l’interesse dello studente (e non di altre componenti che devono essere assolutamente tutelate ma sempre ricordando che la loro “ragione sociale” nonché l’essenza stessa del loro impegno è a favore degli alunni), ne è consapevole. Ne siamo convinti.

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