Dall’insegnamento trasmissivo all’apprendimento coinvolgente: facciamo il salto, senza paura

In questi mesi abbiamo assistito a una continua disputa – a tutti i livelli e in tanti ambienti diversi – tra fautori e detrattori della didattica a distanza (DaD). Ma è questo il nodo centrale? Siamo proprio sicuri che il problema risieda nella contrapposizione tra didattica in presenza e a distanza, piuttosto che nella Didattica Digitale Integrata?

Mano a mano che si allarga la forbice tra un sistema formativo cristallizzato a un secolo fa e una società soggetta alle accelerazioni impresse dal progresso tecnologico e scientifico, il dubbio si fa più grande.

Alcuni dati possono aiutare a capire. Su 7 degli indicatori chiave identificati dalla Commissione europea nel Rapporto “Education and training monitor 2020”, l’Italia è sotto la media UE in ben 6: competenze in lettura, matematica e scienze, abbandono scolastico, livello di istruzione terziaria, Istruzione degli adulti. In alcuni invece di avvicinarsi agli obiettivi fissati a Lisbona si sta regredendo.

Di fronte a questi numeri viene da pensare che sia il modello di insegnamento prevalente a non essere più adeguato ai tempi, indipendentemente dalle modalità di fruizione. Altro che DAD o DIP.

Lo dimostra il fatto che quando il Covid ci ha colpito di sorpresa, chi era preparato a gestire una didattica innovativa in presenza ha saputo farlo anche a distanza.

La questione cruciale che si pone è allora nelle metodologie di insegnamento e nei modelli organizzativi più adatti a favorire l’apprendimento degli studenti. Si vuole restare incanalati nell’attuale modello trasmissivo, disciplinarista, rigido, organizzato burocraticamente, o avere il coraggio di adottare metodologie didattiche innovative, multidisciplinari e crossmediali, che pongano al centro l’apprendimento partecipato e modelli organizzativi flessibili? Qual è il modello di scuola adatto ai Centennials?

Qui sta il discrimine, non è certo una questione di scelta tra didattica in presenza e a distanza, ma semmai di quale didattica e di quale organizzazione del servizio. Inclusione, personalizzazione e digitalizzazione sono le parole chiave della scuola che sogniamo.

Ricordiamo che la valorizzazione di tutti gli individui di una comunità, il riconoscimento della multiformità delle intelligenze e dei talenti, sono anche lo scenario formativo più congeniale a una società democratica aperta, plurale, equa. E la nostra scuola – in cui regna l’egualitarismo assoluto (e ingiusto, perché danneggia chi fa di più e copre chi fa di meno) – si è dimostrata profondamente iniqua nei risultati, come dimostrano gli alti tassi di dispersione.

Sta emergendo un’opportunità: servirsi del digitale non per sostituire la didattica in presenza, ma per allargarne le possibilità, e renderla più efficace, come scrive Italo Fiorin su Tuttoscuola nell’inserto dedicato alla scuola digitale nell’ambito dell’inchiesta su “La scuola che sogniamo”. Anche – diremmo soprattutto – in presenza, che deve essere e sarà (speriamo il prima possibile) la condizione normale.

E allora: meno nostalgia per la scuola modello pre-Covid, più disponibilità e apertura a puntare decisamente sul modello misto, o ibrido, della Didattica Digitale Integrata per fare un salto di qualità spostando il baricentro dall’INSEGNAMENTO TRASMISSIVO all’APPRENDIMENTO COINVOLGENTE, a partire dalla lezione in classe. Questa è la scommessa da vincere. E nessuno può chiamarsi fuori.

(dall’introduzione di Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttoscuola al convegno “La didattica universale non conosce distanza: è digitale, integrata e flessibile”, organizzato da Rete Innovazione in collaborazione con Tuttoscuola presso Job&Orienta, il 26 novembre 2020)