Allarme scuola dell’infanzia/1: calo iscritti, chiusura piccole scuole e famiglie che rinunciano

Sotto i nostri occhi, la scuola dell’infanzia si sta restringendo in maniera clamorosa, e non solo per effetto del calo demografico. La contrazione del numero di alunni, di classi e di scuole è verticale rispetto al picco raggiunto nell’anno scolastico 2013-14, quando nella scuola dell’infanzia statale erano iscritti 1.030.367 bambini. Tre anni dopo si era scesi a 978 mila, nel 2018-19 a 918 mila e nell’anno in corso a 875 mila alunni: -15% rispetto al 2013-14.

La crisi quantitativa di quello che è un fiore all’occhiello della scuola italiana si è tradotta in un minor numero di classi (e quindi anche di docenti): -1.576 classi (-4%) rispetto all’anno 2013/14. Ma ha travolto anche le scuole: negli ultimi anni hanno chiuso circa 1.000 scuole dell’infanzia paritarie – un dato drammatico – ma anche 250 scuole statali dell’infanzia (per lo più monosezioni). I più colpiti sono stati molti piccoli territori, privati completamente del servizio, costringendo numerose famiglie a cercare l’iscrizione in scuole lontane (scuolabus permettendo) o a rinunciare del tutto al servizio.

Si spiega tutto con il minor tasso di natalità? No. Lo dimostra il tasso di scolarizzazione dei bambini italiani di età 4-5 anni: nel 2009 era pari al 99,8%, il più alto in Europa, poi è andato diminuendo di anno in anno per toccare nel 2019 il 94,9%, andando addirittura sotto l’obiettivo del 95% fissato a Lisbona dall’Unione europea. Insomma non diminuisce soltanto il numero assoluto di iscritti (-155 mila in otto anni) ma anche, fatto 100 il numero di bambini in età, il numero relativo. Prima nessuno rinunciava a questo importante servizio, ora un 5% delle famiglie non riesce o non vuole avvalersene. Si alza lo spettro della povertà educativa sulle fasce più deboli della popolazione.

Scomponendo i dati, si può stimare che il crollo di -155 mila alunni rispetto a otto anni fa sia ascrivibile per circa -110 mila al calo demografico e per circa 45 mila ad altri fattori. Evidentemente incidono: fattori economici, sociali e di insufficiente elasticità dell’offerta statale e comunale rispetto al declino delle scuole non statali (che ancora oggi accolgono circa il 36% degli alunni).

C’è da chiedersi se le politiche dell’ultimo decennio su questa fascia di età stiano funzionando.

Il fenomeno è tanto più preoccupante in quanto – come una vasta letteratura conferma – è in questa fascia d’età che si formano alcune delle competenze cognitive, emotive e comportamentali che consentono un positivo inserimento nella scuola primaria e condizionano, secondo alcune indagini longitudinali, anche il successo negli studi superiori e nel lavoro. Inoltre, per quanto ridotta, la percentuale di bambini che non frequentano la scuola dell’infanzia è costituita da soggetti che in larga parte non hanno avuto alcun intervento pedagogicamente significativo nella fascia 0-3, altrettanto decisiva per un equilibrato sviluppo delle competenze linguistiche di base. Si tratta di bambini a rischio di emarginazione prima scolastica e poi sociale.

Per questo lo stanziamento di adeguate risorse per la formazione prescolastica, da 0 a 6 anni, deve essere considerato una priorità in una strategia di investimento nel capitale umano come quella prefigurata dal Piano Next Generation EU.

 

Per approfondimenti:

L’Italia sotto la media dei paesi UE in istruzione e lontana dagli obiettivi fissati