Addio, tempo pieno. Ma chi l’ha detto?

A volte le leggende metropolitane sopravvivono ai fatti reali. Come per il tempo pieno nella scuola elementare, per esempio.
Tutto è cominciato con i primi studi della commissione Bertagna in vista degli Stati generali della scuola del dicembre 2001. In effetti le tesi espresse sul destino del tempo pieno si prestavano a varie interpretazioni, anche negative. E si è parlato, comprensibilmente, di possibile eliminazione del tempo pieno.
Ma poi vi sono stati chiarimenti, rassicurazioni da parte della commissione e dello stesso ministro. La verifica quindi è stato rinviata alla legge di riforma e alle norme di applicazione.
Il testo della legge delega per la riforma non prende in esame in alcun modo la questione. Solamente nelle indicazioni nazionali, anticipatrici del progetto di riforma vero e proprio, se ne parla, prevedendo che il “cosiddetto tempo pieno” abbia garantite 30 ore settimanali di attività didattica, ovviamente al netto delle ore di mensa e di interscuola.
A fugare i residui dubbi interpretativi sul testo ministeriale, vi sono alcuni esempi di quadro orario, che riguardano proprio il tempo pieno e prevedono 40 ore settimanali, cioè l’orario attuale.
Nessuna riduzione del tempo scuola, dunque, né delle classi a tempo pieno se non nella logica dei tagli che hanno colpito anche classi normali. Per il momento le 600 mila famiglie degli alunni del tempo pieno possono respirare, in attesa dell’emanazione dei decreti delegati.
Nonostante ciò, girano nelle scuole volantini sindacali che continuano a parlare di chiusura e di tagli d’organico al tempo pieno. Anche esponenti sindacali, che stanno organizzando assemblee in vista dello sciopero del personale, parlano espressamente di “attacco al tempo pieno”.
In base ai documenti noti, vien da dire: ma chi l’ha detto?