L’odio? È un fatto politico, si può contrastare

Non è vero che il cervello umano sia irrimediabilmente programmato per l’odio. Anzi, i più recenti sviluppi delle neuroscienze mostrano la natura empatica della mente di ciascun individuo, che tende naturalmente a rispecchiarsi e a identificarsi con l’altro, anche se esistono meccanismi inconsci che spingono gli esseri umani a percepire con paura ogni diversità. Paura che degenera in odio individuale e collettivo, tuttavia, solo se è manipolata politicamente, se è cioè intenzionalmente orientata da chi gestisce il potere politico verso un soggetto esterno costruito come un nemico: “stranieri, ebrei, rom, musulmani, donne, omosessuali, persone fragili” è l’elenco che ne fa Milena Santerini – docente di pedagogia generale e interculturale all’Università Cattolica di Milano e coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo – nel suo ultimo libro, intitolato La mente ostile. Forme dell’odio contemporaneo (Raffaello Cortina editore, 2021).

Secondo l’autrice, che si è a lungo occupata del tema anche come parlamentare nella scorsa legislatura, e ha fatto parte della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza ECRI (European Commission against Racism and Intolerance) del Consiglio d’Europa, va combattuta nel mondo contemporaneo una vasta battaglia politica e culturale per svelare e rimuovere, all’interno di ciascun Paese, le radici dell’odio verso i diversi: i pregiudizi, le strumentalizzazioni, l’ignoranza. Di qui l’importanza di una corretta informazione pubblica e di politiche educative che diano ai giovani il senso di un comune destino di tutti gli esseri umani, cui va riconosciuta pari dignità a prescindere dalla loro identità sociale (condizione economica, sesso, origine etnica, religione e così via).

A proposito dei violenti conflitti etnici aggravatisi negli ultimi anni negli Stati Uniti d’America, Santerini osserva che sarebbe sbagliato rispondere alle sopraffazioni dei poliziotti bianchi organizzando forme di contro-odio sociale a sfondo razziale: il riferimento è ai movimenti come Black Lives Matter e alla Cancel Culture, che finiscono per adottare, rovesciandola, la stessa logica discriminatoria, autoritaria e violenta dei loro avversari. In questo modo, anziché rimuovere le cause dell’odio, se ne raddoppiano gli effetti in una spirale montante senza fine e senza speranza.

È tutto ciò inevitabile? No, sostiene con convinzione Santerini, ma occorre studiare e comprendere le radici storiche e politiche dell’odio: “Quando facciamo parlare la storia si scoprono le differenze ma anche le costanti della mente ostile. La violenza appare non più inevitabile, ma frutto di un disimpegno morale che siamo ancora in tempo a contrastare”. Aggiungeremmo sommessamente: sempre che alla scuola, intesa deweyianamente come educazione alla democrazia, venga assegnata in modo chiaro e coerente questa mission.  Cosa che tra qualche difficoltà sta avvenendo in Europa e in Italia ma che incontra forti resistenze proprio negli USA, patria di Dewey. (O.N.)

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