2024, l’anno dell’IA/3. La sfida della personalizzazione

Come abbiamo più volte sottolineato nel corso del 2023, l’anno dell’esplosione di ChatGPT (siamo stati tra i primi a segnalarne la rilevanza sul piano delle ricadute didattiche), grandi sono le opportunità e i rischi connessi alla utilizzazione sistematica delle diverse applicazioni dell’IA nel processo educativo.

Molto dipenderà, naturalmente, dalla preparazione e dalla disponibilità degli insegnanti, e quindi dall’efficacia delle azioni volte ad adeguare la loro formazione iniziale e in servizio sul piano tecnologico, ma sembra chiaro – e lo dimostrano esperienze come quella dell’IC Ungaretti di Melzo e altre in corso – che grandi sono i benefici forniti dalla digitalizzazione della didattica, in particolare per quanto riguarda la personalizzazione dei percorsi, tempi e modi dell’apprendimento. Un’idea guida che l’attuale ministro Valditara ha messo strategicamente al centro della sua visione di una scuola che valorizzi le diverse attitudini e potenzialità dei singoli studenti premiando il loro impegno qualunque sia il percorso da ciascuno liberamente scelto.

Di questo progetto si è visto ancora poco dal punto di vista ordinamentale: la problematica anche se interessante sperimentazione del 4+2 negli istituti tecnici e professionali in attesa della approvazione del disegno di legge e l’introduzione delle due figure professionali del tutor e dell’orientatore, previa frequenza di un corso online di 20 ore, negli ultimi tre anni delle scuole secondarie di secondo grado. Vedremo. Per ora più che di figure si dovrebbe parlare di funzioni professionali aggiuntive a quelle ordinarie.

Ma la partita della personalizzazione si giocherà essenzialmente dal basso, dentro le scuole e sulla frontiera dell’innovazione didattica. Se correttamente impiegati i chatbot – ce ne sono di sempre più specializzati – possono essere di grande utilità sia per i docenti sia per gli alunni, mentre la ricerca accademica applicata e il mercato stanno già ora producendo sistemi di sostegno interattivi per l’apprendimento individuale e di gruppo e per la relativa valutazione individualizzata, oltre che strumenti multimediali, immersivi, di realtà virtuale e così via.

Se molte sono le opportunità, grandi però sono anche i rischi di una formazione ipertecnicizzata e massificata, poco attenta all’autonomia critica del soggetto che apprende, alla sua creatività e al pensiero divergente: essenziale sarà, in questo caso, la sensibilità pedagogica del docente, l’attenzione rivolta ai bisogni e alle potenzialità dei singoli alunni. Le tecnologie, anche alla luce delle considerazioni di Neil Selwyn presentate nella notizia precedente, dovrebbero essere poste dal decisore politico al servizio delle esigenze formative degli studenti, senza mai abbassarsi a strumenti di “alleggerimento” dei compiti dell’insegnante. Compiti che per quanto arricchiti dalle nuove competenze richieste dalla scuola digitale, restano decisivi perché all’insegnante resta comunque affidata la salvaguardia del canone pedagogico occidentale, centrato sull’unicità e sulla libertà del soggetto che apprende e su una didattica finalizzata all’acquisizione di saperi complessi e “di lunga durata” (copyright di Benedetto Vertecchi) che accompagnino gli individui nel corso della vita, senza deleghe ad apparati tecnologici che limiterebbero gravemente la loro libertà. Ovvero la “dignità della persona”, per dirla con Mattarella.

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