Pluriclassi, un fenomeno che sa di antico ma che attraversa il presente

La tendenza all’aumento delle pluriclassi è un indicatore che le risorse continuano a diminuire ed i territori montani e delle piccole realtà isolane si impoveriscono sempre di più. È sorprendente, ma forse tipico del nostro Paese che si adatta a tutto, che dovrebbero essere considerate soluzioni di emergenza, frutto di interventi insufficienti da parte dello Stato, con risorse didattiche complessivamente limitate. Invece, si tenta di farne dei modelli, anche sul piano della ricerca didattica, scambiando la sottrazione di diritti con esperienze di relazioni sociali, di educazione tra pari. Alcune interviste a persone che le hanno frequentate in tempi passati, pubblicate sulla stampa, sembrano voler far emergere come era bello andare a scuola in montagna, quale collaborazione scaturiva tra i compagni, le maestre che avevano un che di eroico, e via dicendo, salvo apprendere dagli stessi che per poter imparare davvero le famiglie si spostavano e i territori venivano abbandonati.

Le pluriclassi sono i corsi e ricorsi di una situazione di povertà del sistema scolastico, che ha penalizzato sempre la montagna e le piccole isole. Questo tipo di organizzazione era in voga anche quando i bambini erano molti, ma la scuola rurale della riforma Casati non era ancora arrivata, proprio per mancanza di fondi. Essa ha segnato l’inizio del novecento e ricompare nel duemila. In mezzo questo Paese ha cercato, anche per le zone più difficili da raggiungere, di prevedere la classe per età, soprattutto dopo l’istituzione della scuola media unica e l’innalzamento dell’obbligo scolastico, rimasta autonoma per molto tempo ed oggi inserita negli istituti comprensivi.

Pur essendo pedagogicamente interessante la collaborazione tra età diverse, perseguibile anche con le classi aperte, si tratta di una scelta didattica che viene praticata un po’ in tutte le scuole, con azioni di tutoraggio da parte degli alunni più grandi che accolgono i più piccoli, ma questa non può essere una scelta politica soprattutto sotto la spinta del risparmio da parte della pubblica amministrazione.

Diverse regioni aiutano sul piano dei servizi: i trasporti possono far confluire in scuole più affollate bambini che abitano in case isolate, anche per mettere in atto una più efficace attività di socializzazione e le mense possono allungare i tempi scuola, sempre per diminuire l’isolamento. I sindaci che si battono per conservare la scuola obbligatoria nei loro comuni, possono comunque considerarsi fortunati se il diritto allo studio è tutelato e se si cerca di mitigare il disagio della pluriclasse con le attività per l’infanzia 0-6 anni ed altre a sostegno della scolarizzazione (centri educativi, estate-inverno, assistenza per i disabili, progetti che vogliono evitare a codeste scuole di rimanere indietro dal punto di vista tecnologico e didattico).

In molte parti d’Italia però ci sono solo le pluriclassi sul territorio e ciò comporta situazioni di disagio e di difficoltà, non solo per il basso numero di alunni, ma anche perché il numero dei docenti non arriva a coprire tutto il fabbisogno. Insomma dopo il maestro unico, rimasto solo con l’abolizione del team, un periodo forse felice della nostra scuola primaria, ed un consiglio di classe dimezzato nella secondaria di primo grado, ritorna in grande spolvero la pluriclasse, con numeri accresciuti anche per quanto riguarda la tenuta dei plessi scolastici, ma è noto che gli apprendimenti risultano più efficaci in una classe omogenea per età, pur flessibile e aperta, che risulta già difficile gestire oltre che per l’elevato numero anche per la grande varietà delle caratteristiche personali degli allievi.

In tale direzione vanno le indicazioni ministeriali per il primo ciclo e le prove INVAlSI testimoniano i risultati sul piano dell’equità tra le classi e le scuole. L’universo delle pluriclassi ormai sta diventando un sistema a sé, ma pur impiegando docenti che fanno di necessità virtù per poter incontrare le diverse età, rimane la consapevolezza che si tratta prima di tutto di mancanza di risorse, il che contribuisce a porre il nostro Paese tra gli ultimi in tutte le classifiche internazionali in termini di investimenti.

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