La scuola che sogniamo: tutte le emozioni sostengono il lavoro scolastico

Di Daniele Novara

A scuola tutti vanno con le loro emozioni: gli alunni, gli insegnanti e anche i genitori. Le emozioni sono sempre presenti e la fanno, spesso e volentieri, da padrone. Ho sempre sostenuto che bisogna sfruttare questa condizione come favorevole per le attività scolastiche e didattiche. Averne paura non è un bel segnale. Una delle più importanti caratteristiche professionali dell’insegnante è proprio quella di saper gestire le proprie emozioni, le proprie proiezioni emotive, in genere provenienti dalla personale lontana infanzia, e, allo stesso tempo, saper gestire in una dimensione sociale le emozioni degli alunni. Da ultima si è aggiunta, necessariamente, la gestione delle emozioni anche dei genitori, oltremodo sollecitati dai gruppi WhatsApp e da un uso spesso incauto del registro elettronico. La scuola dovrebbe essere esperienza principalmente e sostanzialmente degli alunni, ma non è facile farlo capire a genitori sempre più permalosi, suscettibili e narcisisti, in una parola fragili, con delle emozioni assolutamente a fior di pelle, spesso ben più che i loro figlioli. Di questo abbiamo parlato nell’inserto de La scuola che sogniamo pubblicato nel numero di dicembre di Tuttoscuola e dedicato alla scuola delle emozioni.

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La scuola che sogniamo è allora quella che non fa la guerra alle emozioni degli alunni, ma che si allea con le stesse per trasformarle in una risorsa. La prima emozione da considerare è quella della contentezza, dell’andare a scuola volentieri, anzi, andarci con la voglia addirittura di divertirsi. Si tratta di una motivazione che definirei ontologica, ossia fondamentale nell’età della crescita dove le componenti neurofisiologiche sono molto instabili e immature e la motivazione del fare le cose volentieri diventa decisiva. Come può avvenire? Lo spiega bene Alice (11 anni): “Mi diverto un mondo a scuola, stando con i miei compagni. In pratica amo stare con i miei compagni dappertutto, non c’è cosa più bella che condividere l’amicizia con loro. Per me, la classe Ia B è la migliore di tutte!”. A scuola gli alunni vanno volentieri per i loro compagni, è un dato sociometrico inequivocabile. Già nel 2000, ebbi la fortuna di realizzare una ricerca su tutti i 2000 alunni delle V elementari della città di Novara. Ne risultò che il 75% aveva il miglior amico proprio in classe. Oggi questo dato sarebbe ben più elevato, quasi assoluto.

La scuola è rimasta uno degli ultimi luoghi di socializzazione a disposizione dei bambini, in primis, e anche dei ragazzi. Occorre favorire tutto questo, non smorzarlo o addirittura soffocarlo. La scuola dove si va volentieri è quella dove si sente il brusio frenetico dell’attività; l’attenzione si crea nel lavoro comune con i compagni, nel confronto, nella ricerca, nell’esperienza. Se un insegnante vuole la scuola del silenzio, della calma e della tranquillità termale è evidente che ha sbagliato lavoro e, dopo un certo periodo, rischia il burnout.

Anche la selezione del personale scolastico dovrebbe tenere conto di queste condizioni psicoemotive essenziali nel decidere di intraprendere questa professione a così elevato tasso di contatto umano. Il caso dell’intervallo rappresenta un ulteriore elemento critico: con la scusa “per motivi di sicurezza” o per non si sa che cosa, l’intervallo viene spesso trascorso nei banchi, o addirittura sospeso. Ovviamente tutto questo ha delle ricadute negative sulle emozioni degli alunni di qualsiasi età. La pausa per i bambini ha una necessità motoria, per preadolescenti e adolescenti ha una necessità sociale impagabile. Se un alunno risponde che il momento più bello della scuola è l’intervallo, non bisogna fare come l’insegnante tradizionale che si spaventa e si chiede cosa ci sta a fare lì, ma accettare che la motivazione sociale, la ricerca e il desiderio di vivere l’esperienza scolastica con i compagni rappresenti la motivazione principale e quindi allearsi con questa dinamica, non respingerla in maniera autolesionistica. Lo spiega bene Denise (IIa media): “In generale mi diverto quando vado in palestra, nei cambi dell’ora. A volte anche durante le lezioni, ma nell’ora della Monterossi, che è tutta parole, mi annoio sempre. Con lei non c’è un minimo di dialogo tra alunni e insegnante, vuole che stiamo fermi immobili, e per di più ha quella sua voce bassa e lenta che sembra che ti canti una ninna nanna”.

Poi ci sono le emozioni problematiche: la rabbia, ad esempio. Resto sempre sorpreso dai genitori e dagli insegnanti che si lamentano della rabbia dei bambini, in genere piccoli, ma anche di quella degli adolescenti. Va detto che la rabbia, nel bambino fino a 7-8 anni è assolutamente fisiologica, proprio perché vive la frustrazione del non poter fare tutto quello che vuole. Occorre aiutare questi alunni a creare progressivamente le giuste autoregolazioni. Non sarà mai con il controllo o la proibizione assoluti che otterremo un vero processo di apprendimento emotivo. Nella mia esperienza pedagogica ho avuto la possibilità, sulla base di più di trent’anni di lavoro sul campo, di inventare dispositivi che permettono ai bambini e ai ragazzi di affrontare le loro frustrazioni e le loro rabbie relazionali. Uno dei primi fu Il cestino della rabbia dove, specie i bambini piccoli, possono gettare la loro tensione su un foglio di carta che viene appallottolato e – letteralmente – messo dentro questo cestino che diventa una sorta di luogo magico del gruppo-classe. La finalità del Cestino della rabbia è creare uno spaziotempo simbolico dove scaricare questa emozione non solo in senso personale ma anche in senso sociale, trovando un’azione rituale che caratterizzi questa intenzione. 

L’articolo integrale continua nel numero di dicembre di Tuttoscuola in cui abbiamo anche spiegato come costruire un cestino della rabbia.

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La scuola che sogniamo: ecco di cosa parliamo nel numero dedicato alla scuola delle emozioni

La scuola delle emozioni è il modello presentato lo scorso dicembre all’interno del nostro progetto “La scuola che sogniamo”.

Nell’inserto pubblicato all’interno del numero 597 dicembre di Tuttoscuola, oltre a questo articolo di Italo Fiorin puoi trovare i seguenti approfondimenti sulla scuola della ricerca:

Sguardo, rispetto, flessibilità. Insegnare è un’arte che si apprendedi Italo Fiorin
Tutte le emozioni sostengono il lavoro scolastico, di Daniele Novara
Curare le emozioni del team. Didattica ed emozioni, di Mauro Borra
L’esperienza di Reggio Emilia. Ricercando la bellezza di una scuola possibile e amabiledi Annalisa Rabotti, Pedagogista, Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune di Reggio Emilia

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