Verso il 4 marzo un confuso confronto sulla scuola

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Se confrontiamo i programmi presentati dalle principali forze politiche impegnate nelle elezioni del prossimo 4 marzo, elezioni che giungono al termine di una campagna elettorale breve e concitata, non possiamo non constatare che in nessuno di essi la politica scolastica occupa una posizione di particolare rilievo.

Si tratta di una novità rispetto a quanto accaduto nelle precedenti elezioni svoltesi nel corso della Seconda Repubblica, a partire da quelle del 1996 vinte dall’Ulivo di Prodi con una piattaforma programmatica che riservava un posto di assoluto rilievo alle politiche educative (tesi n. 66: “La scuola è la base di ogni ricchezza”). Il sistema elettorale bipolarizzante (il cosiddetto ‘Mattarellum’, ma anche le varianti successive fino alle elezioni del 2013) favoriva il confronto tra grandi schieramenti che, sia pure a costo di compromessi contraddittori all’interno delle due coalizioni, erano costretti a definire proposte unitarie sui grandi temi strategici, tra i quali rientrava anche la politica scolastica.

È stato così anche nel 2001 (le ‘tre i’ berlusconiane a confronto con il pacchetto delle riforme berlingueriane), nel 2006 (pro e contro la riforma Moratti), nel 2008 (quando il confronto si incentrò su due diverse concezioni del ‘merito’) e anche nel 2013 (pro e contro i drastici tagli all’istruzione decisi dal tandem Gelmini-Tremonti).

Il ripristino, anche se parziale, di un sistema elettorale per due terzi proporzionale ha prodotto due effetti: il primo è la ricerca di una maggiore visibilità e autonoma identificabilità delle proposte di politica scolastica dei diversi soggetti politici, anche di quelli minori nel caso che facciano parte di coalizioni; il secondo, dopo la sequela di cambiamenti e retromarce degli ultimi due decenni, culminata nella renziana ‘Buona Scuola’,  è la diffusa insofferenza verso il riformismo scolastico.