Università, Rapporto Anvur: In Italia i laureati restano pochi

Inoltre, quasi un terzo degli immatricolati abbandona o cambia corso di studio dopo il primo anno

Tra il 1993 e il 2012 la quota dei laureati sulla popolazione in età da lavoro è salita dal 5,5% al 12,7%; tra i giovani  in età compresa tra i 25 e i 34 anni si è passati dal 7,1 al 22,3%. Incrementi rilevanti, che mostrano come l’istruzione terziaria sia diventata accessibile ad ampi strati della  popolazione. Come negli altri paesi, anche in Italia si è assistito a una trasformazione dell’istruzione universitaria aprendo il sistema verso quella che è stata definita come università di massa. E’ quanto emerge dal primo Rapporto biennale sullo Stato del sistema dell’università e della ricerca, diffuso oggi a Roma dall’Anvur, l’Agenzia Nazionale di  Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca.

Nel dibattito pubblico questa trasformazione si è accompagnata alla  convinzione che ormai in Italia vi sia persino un eccesso di laureati. Eppure i confronti internazionali mostrano  come non solo l’Italia risulti ancora tra i paesi con la più bassa quota di persone in possesso di un titolo terziario. Il ritardo italiano dipende essenzialmente da un tasso di iscrizione basso tra i giovani adulti e da tassi di successo tra quanti si iscrivono relativamente bassi nel confronto internazionale. Parte delle differenze con gli altri paesi potrebbero dipendere dalla mancanza nel nostro Paese di un’offerta di corsi di livello terziario a carattere professionalizzante che nella media dei paesi  europei ha un peso di circa il 25% sul totale di quanti conseguono un titolo terziario. L’offerta formativa non permette  alternative, dopo la maturità, tra un corso di laurea a contenuto prevalentemente teorico e l’abbandono degli studi.

Con il cambio degli ordinamenti didattici il sistema si è tuttavia in parte diversificato, offrendo percorsi di laurea  triennali, corsi a ciclo unico in alcuni settori (ad esempio in area medica), corsi magistrali di secondo livello di  durata biennale per i laureati che intendano proseguire negli studi. A questi si aggiungono i corsi di dottorato per  quanti vogliano intraprendere una carriera di ricerca accademica o nel settore privato o percorsi lavorativi in cui sia  richiesta la conoscenza profonda delle frontiere del sapere. Di fatto si tratta di percorsi diversi, e la laurea triennale  per molti (oltre il 40% dei laureati), rimane l’unico titolo conseguito.

Nonostante i progressi degli ultimi anni, il sistema, continua a presentare problemi cronici, che la riforma 3+2 ha attenuato ma non risolto. Il fatto che quasi un terzo degli immatricolati abbandoni o cambi corso di studio dopo il primo anno indica la difficoltà del passaggio dalle scuole superiori all’università: ciò è dovuto all’inefficacia dell’orientamento formativo, a deficit di preparazione degli studenti, alla debolezza del tutoraggio per gli immatricolati. I dati sulla dispersione, sulla regolarità degli studi e sul tempo medio per laurearsi mostrano inoltre una scarsa efficienza del sistema che comporta costi sicuramente elevati a livello generale (basti pensare al ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro).

Esiste una frattura evidente tra gli atenei del Nord e quelli del Centro-Sud, per esempio per il numero degli studenti fuori-corso, per la durata media degli studi e per gli abbandoni precoci. Ciò è dovuto in parte alle differenze nella formazione pre-universitaria, ben documentata dai test Invalsi e Pisa. Nonostante luoghi comuni diffusi, sul mercato del lavoro la laurea continua in media a offrire migliori opportunità occupazionali e reddituali rispetto al solo diploma di maturità. La crisi ha colpito duramente i più giovani, ma gli effetti sono stati decisamente peggiori per chi ha un livello d’istruzione più basso.