Tempo pieno nella primaria. Non è solo una questione quantitativa

È certamente condivisibile l’intenzione del piano governativo “La Buona Scuola” di riversare nuove risorse umane per potenziare il tempo pieno nella scuola primaria.

Ma, oltre a porre attenzione all’aspetto quantitativo (potenziare), non va trascurato l’aspetto qualitativo (riqualificare).

Nell’azione riformatrice dell’ex-ministro Gelmini il tempo pieno ha subito una preoccupante mutilazione che, in qualche modo, ne ha snaturato il modello organizzativo proprio nei suoi precipui aspetti qualitativi.

La riforma Gelmini, nel tentativo di eliminare o drasticamente ridurre le compresenze nella scuola elementare con l’obiettivo di ridurre i posti e la spesa (senza proporre un modello didattico alternativo), non ha risparmiato nemmeno il tempo pieno.

Infatti le quattro ore di compresenza derivanti dall’assegnazione del doppio organico per classe sono servite a integrare l’orario delle classi normali per mantenere il loro vecchio orario settimanale di 30 ore oppure per dar vita a nuove classi a tempo pieno.

La conseguenza è stata uno spezzettamento di orari e un avvicendamento di diverse docenti nelle classi che stanno compromettendo l’unitarietà del modello di tempo scuola.

Si può osservare che anche nei modelli organizzativi di orari normali a 27 ore non c’è ormai più l’unitarietà dell’insegnamento, ma per il tempo pieno non è certamente consolante sapere che le criticità in materia sono comuni anche agli altri.

Per molte famiglie forse basta sapere che il tempo pieno frequentato dai loro figli assicura le 40 ore settimanali di custodia (aspetto quantitativo), ma c’è anche chi si accorge che quel tradizionale modello di tempo scuola perde qualche colpo (aspetto qualitativo).

Proposta: perché non restituire tutte le ‘sue’ ore di compresenza al tempo pieno, senza farne il “donatore di sangue” per gli altri?