Tempo pieno: di che cosa?

Il 29 novembre ha visto, accanto a quella romana, un’altra “mobilitazione“: quella svoltasi a Bologna per iniziativa del “Coordinamento nazionale in difesa del tempo pieno“. Anche in questo caso non sono mancate adesioni significative, tra le quali quelle dei DS, e di PRC, Cobas, RdB, Legambiente, Scuola e Costituzione e Social Forum, come riferisce “l’Unità” del 30 novembre 2003. Non risulta l’adesione dei sindacati, forse perché già impegnati nella contemporanea manifestazione romana.
La parola d’ordine a Bologna è stata dunque la difesa del tempo pieno. Ma il ministro Moratti ha negato più volte, anche in Parlamento, che la sua riforma lo attacchi. Quale “tempo pieno” è stato perciò difeso? Probabilmente i manifestanti hanno inteso difendere non il tempo pieno in sé, che anche la riforma Moratti prevede, ma il modello tradizionale di tempo pieno, quello con i due maestri contitolari, strutturato secondo regole e prassi abbastanza omogenee a livello nazionale, costruito insomma a partire dall’offerta, ma che ha riscosso il gradimento nelle famiglie.
A questo modello la riforma Moratti sembra contrapporre non un tempo ridotto, vuoto, ma un diverso modello di tempo pieno: un tempo sempre pieno (40 ore in 5 giorni nella scuola primaria) ma per così dire diversamente riempito, riempito cioè a partire dalla domanda (dei genitori, degli stessi allievi, con la mediazione del docente-tutor), e quindi, alemno nelle intenzioni, più flessibile e personalizzato.