Stipendi differenziati dei docenti: quando la laurea non ha peso

Una delle questioni della scuola che la settimana scorsa ha tenuto banco per alcuni giorni sui media è quella della differenziazione salariale, questa volta non legata al merito, ma al territorio e al costo della vita. Si è parlato anche di gabbie salariali e il dibattito è stato esteso anche al valore delle materie insegnate. Probabilmente, considerate le attuali scarse disponibilità di bilancio, il dibattitto si esaurirà con qualche dichiarazione di buone intenzioni, rimandando – forse sine die – l’impegno assunto nella recente campagna elettorale da molti partiti di maggioranza e di opposizione di portare gradualmente gli stipendi dei docenti ai livelli europei. Per tutti.

Le differenze stipendiali – per merito, per professionalità e per territorio-costo della vita – sono destinate a rimanere probabilmente per molto tempo a livello di confronto dialettico, in assenza di un ridisegno complessivo del sistema di reclutamento, di percorso professionale e di organizzazione del servizio.

All’interno della materia sulle differenze stipendiali c’è un’altra questione poco dibattuta o forse del tutto dimenticata: lo stipendio legato al titolo di studio e al settore di insegnamento.

Il problema, con tutte le sue evidenti contraddizioni, è arrivato pochi mesi fa con i nuovi insegnanti di educazione motoria inseriti nella scuola primaria e assunti dalle graduatorie della scuola secondaria di I e II grado.

Possono svolgere indifferentemente la medesima attività di insegnamento sia nella scuola secondaria che nella scuola primaria, ma, nel secondo caso, sono pagati meno e prestano sei ore di servizio settimanale in più, cioè un terzo di maggiore presenza in cattedra rispetto a quanto svolto nella scuola secondaria.

Il confronto contraddice il principio dell’unità di insegnamento, soprattutto in riferimento al titolo di studio posseduto dal docente.

Ma la situazione dei docenti di educazione motoria non è isolata. Nella scuola primaria da vent’anni non si entra più con il solo diploma: è necessaria la laurea.

I maestri laureati erano allora circa il 15%. Si può stimare che oggi siano circa quasi tre quarti dei 265mila che occupano posti comuni e di sostegno; una percentuale destinata gradualmente a saturarsi al 100%. Ma continuano a percepire uno stipendio da diplomato.

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