Si può salvare l’anno scolastico?

Ormai è chiaro. Il 2021 non sarà l’anno della ripartenza della scuola italiana, perché non sono state poste le basi perché lo potesse diventare, malgrado le raccomandazioni dei pochi profeti disarmati, tra i quali la nostra testata, che già nel pieno del primo lockdown avevano invitato i decisori politici ad affrontare le conseguenze scolastiche della pandemia di Coronavirus guardando avanti, a un nuovo modello di scuola, anziché indietro, al ripristino di quella vecchia.

Sarebbe il caso di non sprecare il tempo che ci separa dal 2021-2022 in vane operazioni di restauro, alla ricerca della scuola perduta, e di condividere invece la visione del modello di scuola che sogniamo, mettendo poi in cantiere con gradualità alcune misure di respiro strategico, già più volte prefigurate da Tuttoscuola, che vadano nella seguente direzione:

  • Introduzione di metodologie didattiche innovative, con accelerazione della digitalizzazione e DDI (Didattica Digitale Integrata) a tutti i livelli di scuola;
  • riduzione della durata complessiva degli studi pre-universitari a 12 anni, come in quasi tutto il mondo, con scuola secondaria superiore di quattro anni (2+2);
  • eliminazione delle ripetenze, se non in casi estremi, almeno fino al primo biennio di scuola secondaria superiore;
  • personalizzazione dei piani di studio individuali: core curriculum ristretto e rafforzato (italiano, matematica, scienze, tecnologia) fino ai 16 anni, integrato a partire dalla terza media da altre discipline opzionali o facoltative, ed esame di maturità centrato su 2, al massimo 3 materie scelte dal candidato, con crediti riconosciuti per gli studi o le attività successive;
  • certificazione delle competenze al posto del diploma, anche sulla base dell’esito di prove oggettive nazionali, ripetibili, predisposte dall’Invalsi;
  • ITS triennali (i bienni attuali più uno iniziale da concordare con gli istituti tecnici) che diano un titolo equiparato alla laurea universitaria di primo livello;
  • piena autonomia organizzativa e didattica alle singole scuole e alle loro reti;
  • grande investimento sulla formazione in servizio dei docenti, anche con periodi sabbatici.

Se si adotterà un piano di questo genere (o anche diverso, ma altrettanto ambizioso e finalizzato alla transizione dall’insegnamento trasmissivo all’apprendimento coinvolgente: ne parlano pedagogisti come Giuseppe Bertagna ed esperti di politica scolastica come Giovanni Cominelli in una proposta preparata per la Fondazione Kuliscioff) si andrà verso il rilancio della funzione istituzionale della scuola (lo scenario che l’OCSE definisce re-schooling o extended school). Altrimenti, se ci si attarderà in operazioni nostalgia, il destino del sistema educativo tradizionale sarà quello prefigurato in un altro degli scenari OCSE: la descolarizzazione (Education outsourced).

Per approfondimenti: https://www.tuttoscuola.com/la-scuola-del-dopo-virus-tre-scenari-possibili/