Recovery Plan/1: ci siamo, non sprechiamolo

Nell’intervista concessa a Radio 24 lo scorso 23 aprile, il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, parlando del Recovery Plan e delle risorse da esso previste per il mondo dell’istruzione e della formazione, ha rivendicato un obiettivo importante: l’aver tracciato, mediante le risorse del Recovery Plan, non un piano di spese, ma un percorso nel quale si attribuisce alla scuola italiana il ruolo di centro dello sviluppo del Paese. Un’affermazione impegnativa e importante, tanto più in quanto proveniente da un uomo che dispone di un retroterra culturale e professionale di tipo economico, che lo rende particolarmente consapevole del crescente significato strategico che il livello di istruzione della popolazione riveste ai fini della capacità competitiva del Paese.

Nelle attuali condizioni di sviluppo tecnologico e di competizione internazionale, fondata sulla globalizzazione, l’istruzione è un “fattore produttivo”, nel senso tecnico che quest’espressione riveste nella teoria economica, nella quale indica ciascuno degli elementi che concorrono alla produzione di beni e servizi richiesti dal mercato. Il livello intellettuale di una popolazione non è più, quindi, solo un obiettivo di civiltà (lo è anche, ovviamente), ma, potremmo dire, uno strumento di politica economica, necessario a reggere il passo di uno sviluppo tecnologico sempre meno bisognoso di “braccia” e sempre più alla ricerca di “cervelli”.

In questo contesto, il Piano Nazionale di Ricostruzione e Resilienza è uno strumento senza precedenti, una opportunità in virtù della quale un paese perennemente alle prese con problemi di ordine finanziario, a causa di un debordante debito pubblico, si trova improvvisamente a poter spendere (e non, invece, a dover tagliare, come negli ultimi decenni) risorse aggiuntive con le quali procedere all’ammodernamento delle proprie infrastrutture, materiali e immateriali, ivi compresa la scuola. Va colta l’occasione per un rovesciamento di logica, che consenta di porre le basi di una Scuola nuova all’altezza delle aspettative del Paese, che abbia al centro le esigenze degli studenti, e che sposti il baricentro dall’offerta (programmi e orari rigidi, apparati organizzativi accentrati, risposta a problematiche occupazionali) alla domanda (personalizzazione dei percorsi formativi a seconda degli stili di apprendimento degli studenti, insegnamento di qualità).