Fare scuola durante la pandemia: un anno passato invano?

Un anno fa, subito dopo che l’allora presidente Giuseppe Conte aveva annunciato la proroga del lockdown fino al 3 maggio 2020, Tuttoscuola aveva prospettato tre ipotesi per l’anno scolastico 2020-2021: la riapertura a settembre, la riapertura alla fine dell’anno, la chiusura per tutto l’anno scolastico. In quel momento di grande incertezza non era possibile fare previsioni affidabili, salvo una: che anche nell’ipotesi più ottimistica, la prima, ci si doveva preparare a una scuola diversa, non foss’altro che per osservare l’obbligo del distanziamento minimo tra le “rime buccali” degli studenti.

Ciò avrebbe comportato, si osservava, la necessità di programmare sdoppiamenti delle classi, turni, e anche, almeno in parte, la didattica a distanza (DAD), o didattica digitale integrata. Esigenza quest’ultima che diventava man mano più forte nella seconda e soprattutto nella terza ipotesi. Purtroppo non si è percorsa questa strada perché – anche a seguito della campagna di alcuni noti opinion leader a sostegno della insostituibilità della didattica in presenza – il Ministero dell’istruzione si è poco impegnato sul fronte della necessaria formazione dei docenti a utilizzare la DAD, malgrado le sollecitazioni di qualificati esperti e le iniziative di molte scuole innovative, documentate e sostenute da Tuttoscuola nell’ambito del progetto La scuola che sogniamo.

Nel mese di ottobre 2020, con i primi segnali di ripresa della pandemia, dovuta almeno in parte anche alla riapertura delle scuole in condizioni di scarsa sicurezza (oltre che a un’estate spensierata…), Tuttoscuola ha suggerito che in caso di ulteriore sospensione della didattica in presenza si sarebbe dovuto puntare su un “più ridotto numero di obiettivi di apprendimento in termini di conoscenze, abilità e competenze, compensato da una forte attenzione per le loro valenze interdisciplinari, rese più evidenti dalla multimedialità di molti oggetti di apprendimento rinvenibili in internet o apprestati dagli stessi insegnanti” (per leggere l’articolo cliccare qui).

Da allora le scuole hanno funzionato a intermittenza, e chiusure e aperture si sono alternate fino a oggi senza che chiare indicazioni in questo senso (alleggerimento dei piani di studio, maggiore interdisciplinarità assistita dalle tecnologie, un certo grado di personalizzazione) fossero date dal Ministero che, anzi, ha riammesso la possibilità delle ripetenze. Così, per non aver voluto guardare avanti, si è finito per ripristinare uno dei più emblematici strumenti della vecchia scuola, disciplinarista e selettiva, nonostante su altri versanti (ITS, maturità, 0-6) il ministro Patrizio Bianchi – nei primi due mesi e mezzo di attività – si sia mostrato più aperto al nuovo.