Se l’intervento del Pnrr sui divari e la dispersione scolastica fa piangere, quello su Scuola 4.0 non fa ridere.
Nel migliore dei casi si tradurrà in un consistente ammodernamento delle dotazioni e degli arredi: è questo che si voleva raggiungere? Se invece si voleva cambiare il paradigma e innovare la scuola, allora rischia di essere una grande occasione buttata al vento.
Dialogando con tante scuole, si avverte disorientamento, tra i più consapevoli anche rassegnazione al fatto che la rigidità dei vincoli imposti porti a investire male i cospicui fondi disponibili.
Si dovrebbe partire da una visione, dal modello pedagogico e didattico che si vuole realizzare, dall’identità della scuola, e poi ridisegnare di conseguenza i processi e implementare i progetti. Non si tratta di approcciare i progetti come meri adempimenti amministrativi. Occorre inquadrare i progetti del PNRR in una prospettiva strategica, curando gli aspetti metodologici. Non è facile, almeno non per tutti, occorrono esperienze e competenze specialistiche (e servirà molta formazione, al momento scollegata nei piani del Ministero).
Si è diffusa invece l’idea di ricorrere, nella fretta, a sigle di modelli o a idee originali che possano rispondere a quanto previsto nel bando, ma che non implicano il cambiamento del modo di fare scuola.
Questo da un lato rassicura molti docenti, perché non li obbliga a uscire dalla “comfort zone”, dagli stili di insegnamento ai quali sono da sempre abituati; dall’altro tranquillizza alcuni dirigenti scolastici, sicuri di aver così rispettato i target imposti dal Ministero. Si agisce sul numero minimo di ambienti di apprendimento richiesti dalle istruzioni ministeriali, così si impatterà solo su alcune classi, su alcuni corsi, non sul modello di scuola. Il rischio è che in questo modo si dia l’alibi di non cambiare nulla.
Eppure si tratta di un film già visto molti anni fa con le Lim e in buona parte anche con la Dad (che in molti casi ha riproposto la stessa lezione trasmissiva, ma a distanza), per non parlare dei banchi innovativi rimasti nelle soffitte.
Certo, alcune scuole hanno le capacità e le competenze per sfruttare bene questa occasione. Ma sono poche, il problema sono tutte le altre. Per mettere una toppa sembra necessario dare più tempo per la presentazione dei progetti e trovare forme di accompagnamento qualificato.
Ma perché ci si trova in questa situazione?
L’Unità di Missione per il PNRR con il Piano Scuola 4.0 ha scelto di obbligare le scuole (“autonome” solo sulla carta, sia pure costituzionale, evidentemente) ad acquistare dotazioni digitali, indipendentemente dal fatto che esse abbiano in mente un’idea di scuola digitale e dal fatto che quelle dotazioni le scuole già le possiedano, come è in molti casi specie dopo i tanti finanziamenti ottenuti durante la pandemia. Magari mancano gli infissi o un sistema di riscaldamento adeguato? Non importa, intanto si acquistino “i tavoli multifunzione che collegano i vari pc” (come è stato detto nel webinar organizzato dall’Unità di Missione). Verranno spesi così 2,1 miliardi di soldi pubblici, senza alcuna forma di accompagnamento per le scuole (e senza fornire spunti, buone pratiche) se non quella che – da quanto sta emergendo – sono disposti a offrire i produttori e i distributori di quelle dotazioni (soprattutto i pochi più organizzati), che aspettano la pioggia di ordinativi da parte delle scuole. Acquisti – ricordiamolo – imposti per almeno il 60% dei fondi assegnati dall’alto (ma le Istruzioni operative emanate consentono di sfiorare il 100%). Non a caso in queste settimane è un fiorire di bozze di progetti in fotocopia messi gentilmente a disposizione delle scuole da alcune aziende finora soprattutto specializzate in dotazioni tecnologiche e arredi, che così allargano il loro raggio di azione anche alla consulenza e alla formazione non tecnica. Insomma per loro un abile reinvestimento di parte dei lauti guadagni (del resto si trovano nella invidiabile situazione di una domanda obbligata – dallo Stato, che ci mette i soldi, anche se in buona parte li dovrà restituire all’Europa – per i propri prodotti), che potrebbe portare ad avere una sorta di oligopolio per il futuro (formazione, assistenza, manutenzione, gestione delle licenze e dell’obsolescenza, etc etc per le scuole che a breve commissioneranno loro le dotazioni digitali, legandosi ad ampio spettro).
Chissà che non diventi un caso di studio nei master sulle normative antitrust e regole di concorrenza…
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