Piani di studio personalizzati: il silenzio sulle quote regionali

L’avvio della nuova legislatura nella maggior parte delle Regioni italiane riapre il dibattito su un problema che oggi sembra dimenticato, quello relativo alla quota regionale dei piani di studio personalizzati. L’art. 2, comma, 1, lettera l) della legge n. 53/03, prevede che: «i piani di studio personalizzati, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali». L’esame del contenuto del comma mette in evidenza che sono tre i vincoli che ogni istituzione scolastica deve rispettare nella costruzione dei piani di studio personalizzati dei propri allievi.
Anzitutto, il rispetto del nucleo fondamentale omogeneo su base nazionale espresso dal “Profilo educativo, culturale e professionale” per il I e il II ciclo e dalle “Indicazioni nazionali”, che è di competenza del Ministero.
In secondo luogo, il rispetto della quota regionale. All’interno della quota nazionale, le Regioni identificano prima le parti di proprio ‘interesse specifico’ e poi decidono, perciò, quali discipline o attività educative approfondire di più. Non si tratta di individuare nuovi obiettivi specifici di apprendimento disciplinari o interdisciplinari (convivenza civile), quindi, ma di ampliare, rafforzare, approfondire territorialmente alcuni di quelli già previsti a livello di nucleo fondamentale nazionale.
Infine, l’esercizio delle prerogative di autonomia organizzativa e didattica riconosciute alle scuole e ai docenti dal Dpr. 275/99, dopo il 2001 perfino costituzionalizzate. Tra queste prerogative, non rientra più il cosiddetto 15% perché l’art. 12, comma. 2 del Dpr. 275/99 lo prevedeva vigente fino alla riforma degli ordinamenti oggi disposta con la legge n. 53/03 e con i relativi dlgs. di attuazione.