Paola Concia: ‘Vedo una scuola in gran movimento’

L’intervista di Tuttoscuola

L’assessore alle relazioni internazionali e cooperazione, turismo, Fiere e congressi del comune di Firenze, Paola Concia, fa con noi di Tuttoscuola un bilancio di “Didacta Italia” e guarda al futuro. La sua intervista integrale è stata pubblicata nel numero di novembre di Tuttoscuola.

Come vede la scuola di oggi? Cosa giudica positivo e negativo?
«Sicuramente in grande fermento, in grande movimento. La scuola italiana sta vivendo un rinnovamento culturale sancito dalla legge 107/2015 con la quale si sono gettate le basi della trasformazione dell’istruzione che l’Italia aspettava da troppo tempo. Le misure contenute nella norma: Piano Nazionale Scuola Digitale, Alternanza Scuola Lavoro, Piano Nazionale Formazione Docenti ecc. sono strumenti obbligatori che aiuteranno questa rivoluzione. Non riesco a vedere il negativo, vedo soltanto la necessità di dare tempo al tempo, poiché tutti i cambiamenti necessitano di tempi medio-lunghi per affermarsi».

Incontri ravvicinati con la scuola del futuro. Così è stata definita Didacta. Come la vede allora, lei, la scuola degli anni che verranno?
«Vedo una scuola sicuramente più pronta ad affrontare le grandi sfide della quarta rivoluzione, una scuola che possa garantire non solo il sapere ma anche il saper fare, che sia all’altezza delle nuove generazioni, dei nativi digitali. In questo senso due misure sono particolarmente importanti: il Piano Nazionale Scuola Digitale e l’Alternanza Scuola lavoro. Il Piano nazionale scuola digitale che stanzia oltre un miliardo di euro per risolvere il gap tecnologico delle nostre scuole. Un piano che accompagna l’inserimento delle ICT con un piano di formazione per gli insegnanti, di durata pluriennale, che non ha l’obiettivo di addestrare i docenti all’uso di questa o quella tecnologia. La formazione viene invece indirizzata verso la comprensione delle potenzialità offerte dal “digitale” per costruire una didattica nuova nelle diverse discipline, fuori quindi da ‘obiettivi di addestramento’ su questo o quel software. Tutti sanno che per imparare ad usare un software o ad utilizzare la rete non serve leggere prima voluminosi manuali: si impara “facendo”. Siamo al secondo anno di implementazione del Piano Nazionale della Scuola Digitale, un investimento da un miliardo di euro, punta non solo a risolvere il gap tecnologico delle nostre scuole ma fornire strumenti cognitivi e competenze. Ad oggi 150 mila persone nella scuola fruiscono della formazione sui temi del digitale; 8.300 animatori digitali e i loro team per l’innovazione sono al lavoro; oltre 1,3 milioni di studentesse e studenti e 50.000 docenti sono già coinvolti nel portare il pensiero computazionale in ogni classe; oltre 4.000 istituti sono al lavoro per rendere strutturali le competenze digitali grazie ad un investimento da 80 milioni di euro; tutte le scuole sono impegnate su innovazione degli ambienti per l’apprendimento e per il rinnovamento di didattica e organizzazione. L’Alternanza Scuola Lavoro, una rivoluzione che dà al lavoro la dignità di didattica e che riavvicina due mondi che negli ultimi anni non hanno dialogato in modo così efficace. Si è concluso da poco il secondo anno di curricolarità dell’Alternanza, erano 1,15 milioni gli studenti che dovevano fare quest’esperienza, con l’anno scolastico appena cominciato sono un milione e mezzo. Una vera sfida per il Paese. Un’esperienza che non solo aiuta le studentesse e gli studenti a consolidare conoscenze acquisite sui banchi, sviluppare nuove competenze che sono particolarmente caratterizzanti il mondo del lavoro (problem solving, lavoro in team, organizzazione del tempo e delle attività, etc.) ma anche a conoscersi meglio e scoprire attitudini, preferenze e talenti che possono essere utili ad orientare le loro future scelte di studio o di lavoro. Il Governo ha fatto un grande investimento per e sull’Alternanza Scuola Lavoro: prima che la riforma la rendesse obbligatoria erano 273.000 le studentesse e gli studenti in tutto il Paese ad intraprendere questo tipo di esperienza, con l’anno scolastico appena cominciato, lo ripeto perché credo sia importante, sono 1,5 milioni. Crediamo sia questo il punto da cui partire per collegare meglio istruzione e lavoro in un paese dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli preoccupanti (37%). La scuola ha bisogno anche delle aziende: la loro capacità progettuale che può aiutare in maniera significativa la qualità di questo rinnovamento ed offrire spunti, soluzioni, idee nuove. La tecnologia e internet hanno già trasformato profondamente, e stanno continuando a farlo, il modo in cui comunichiamo, ci informiamo, acquistiamo beni e servizi, accelerando i tempi e abbattendo i costi di produzione e distribuzione della conoscenza, con una scala e una velocità che, anche grazie alla globalizzazione, non hanno precedenti e che stanno anche rivoluzionando lo stesso approccio cognitivo e percettivo del mondo. Uno di quei momenti nella storia in cui la tecnologia ha un impatto che marca una discontinuità tale da rendere poco chiaro il percorso tanto delle nuove generazioni che si accingono ad entrare nel mondo del lavoro che di quelle che il lavoro lo conoscono bene. La Banca Mondiale ci dice che nei prossimi dieci anni un miliardo di giovani entrerà nel mercato del lavoro. Di questi solo il 40% svolgerà professioni che oggi esistono. Mentre l’OCSE stima che il 9% dei posti di lavoro nel nostro Paese sono completamente automatizzabili mentre il 35% sarà profondamente trasformato da queste nuove tecnologie. Per il sistema di produzione e distribuzione della conoscenza il paradosso è evidente: da un lato continuare a preparare una generazione di studenti per entrare in un mondo del lavoro in rapida trasformazione, verso professioni che ancora neppure conosciamo; dall’altro immaginare come si possano aggiornare competenze e strumenti cognitivi di una par- te della popolazione che si è formata in un contesto profondamente diverso. Credo che il processo di trasformazione in corso nel mondo della scuola permetterà agli studenti di sviluppare strumenti cognitivi e competenze per governare il cambiamento».

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