Ocse, Italia maglia nera spesa pubblica nell’istruzione. Fedeli: ‘Dal 2014 c’è già stato un cambio di passo’
Italia maglia nera nell’area Ocse per la spesa pubblica complessiva nell’istruzione nel 2014. È quanto afferma l’organizzazione nel suo ultimo studio, sottolineando che Roma ha riservato il 7,1% della spesa delle amministrazioni pubbliche al ciclo compreso tra la scuola primaria e l’università. Un calo del 9% rispetto al 2010, secondo il rapporto “Indice di un cambiamento nelle priorità delle autorità pubbliche piuttosto che di una contrazione generale di tutte le spese governative“. Petraglia (SI): “Dati preoccupanti“. Turi (Uil Scuola): “Divario inaccettabile“. Puntuale il commento della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli: “Finanziamento al sistema? Passo già cambiato“.
Il dato riguarda il 2014, come è stato rilevato questa mattina da Francesco Avvisati e Giovanni Semeraro, gli esperti italiani dell’Ocse che hanno illustrato la scheda nazionale italiana in occasione della presentazione dell’edizione 2017 di Education at a Glance (EAG), svoltasi questa mattina a Roma presso la Luiss con la collaborazione dell’Associazione Treellle, presieduta da Attilio Oliva.
L’inversione di marcia è cominciata con il governo Renzi, che ha sensibilmente aumentato la spesa pubblica per l’istruzione a partire dal 2015, ma gli effetti si vedranno a partire dal Rapporto EAG dell’anno prossimo.
Sono piuttosto altri aspetti del sistema educativo italiano, più strutturali e di lungo periodo, a destare preoccupazione. Intanto la bassa percentuale di laureati tra gli adulti (25-64 anni), il 26% rispetto alla media europea del 39, cui si aggiunge l’altrettanto bassa disponibilità degli occupati italiani alla formazione continua.
Poi l’eccesso di laureati in materie umanistiche (30% nel 2016, contro la media europea del 19%), cui corrisponde una carenza di laureati nell’area delle competenze ‘Stem’ (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), che penalizza in particolare le donne. Queste sono invece massicciamente presenti nel settore educativo, dove l’Italia presenta il divario di genere più importante dell’area Ocse: il 95% delle lauree di primo livello e 91% delle lauree di secondo livello è conseguito da donne.
Sempre preoccupante in Italia il numero dei neet (persone di età tra i 15 e i 29 anni non impegnate nello studio, nel lavoro, nella formazione), che nel nostro Paese ammontano al 26%, rispetto al 14% della media degli altri Paesi Ocse, con punte superiori al 30% in Campania, Sicilia e Calabria. In questa classifica l’Italia si colloca al penultimo posto, subito prima della Turchia (28%). Ai primi posti ci sono i Paesi Bassi e la Danimarca con un tasso dell’8%, seguiti dalla Svizzera (9%), dalla Germania (10%) e dall’Austria (11%).
“Non stupiscono purtroppo i dati Ocse sulla bassa propensione agli studi universitari in Italia. Da una parte la crisi economica, dall’altra gli scarsi investimenti del Governo nelle ultime leggi di Stabilità per sostenere il diritto allo studio, le poche borse e l’aumento delle tasse fanno sì che l’Italia stia tornando a un’università di classe, alla quale accedono soprattutto i figli di famiglie abbienti, a fronte di un diritto allo studio garantito dalla Costituzione“. Lo afferma la senatrice Alessia Petraglia, capogruppo di Sinistra italiana in Commissione Istruzione. “La Legge sulla Buona scuola è stata approvata ormai 2 anni fa e sia scuola che Università sono nel caos – continua la senatrice – dato che erano decenni che i docenti universitari non scioperassero. I dati quantitativi non sono tutto, ma la loro significatività sul preoccupante calo degli iscritti all’Università c’è, e sempre i dati ci dicono che la spesa pubblica per istruzione è la più bassa dei Paesi Ocse. È necessario – conclude Alessia Petraglia – uscire dalla demagogia della “Buona scuola” e dalla logica di una formazione aziendalistica perseguita da questo Governo e ripartire dall’idea fondamentale della gratuità dell’istruzione, elevare l’obbligo scolastico fino ai 18 anni e pensare una scuola che faccia della sfida dell’uguaglianza dei risultati la sua scommessa vera, perché ogni soldo destinato alla formazione è un investimento in salute, sicurezza e sviluppo“.
“L’Italia non investe in istruzione, per scelta e non per contrazione della spesa. I bassi livelli di spesa sono ‘indice di un cambiamento nelle priorità pubbliche piuttosto che di una contrazione generale di tutte le spese governative’, si legge nel rapporto presentato oggi dall’Ocse“. Lo afferma il segretario generale della Uil scuola, Pino Turi sottolineando che “nell’ambito della spesa pubblica, la quota che l’Italia destina all’istruzione è pari al 7,1%, in calo rispetto al 9%, del 2010. Un divario di due punti percentuali – evidenzia Turi – che mostra i limiti finanziari del nostro sistema e che andrebbe colmato anche con un piano graduale di investimenti, per un riequilibrio con gli altri settori di spesa. Che occorra riportare la scuola tra le priorità dell’azione di Governo lo dimostra anche la spesa in istruzione in rapporto al Pil, pari al 4,1%, ben al di sotto della media Ocse (5,2%) e ‘in calo, secondo il rapporto Ocse, del 7% rispetto al 2010′”. “Più risorse per la scuola – aggiunge il segretario della Uil scuola – per evitare che, un sistema che ancora tiene in termini di risultati e di qualità (ad esempio il sistema della scuola dell’infanzia, con tassi di frequenza altissimi, 97%, fa notare Turi) in presenza di un consistente divario, in termini di investimenti, possa determinare squilibri nel sistema-Paese, difficilmente recuperabili“.
“Incrementare il numero di laureate e laureati nel nostro Paese è uno degli obiettivi che ci siamo prefissati e verso il quale ci stiamo già muovendo. I dati certificati oggi dall’Ocse confermano un quadro che conosciamo e rispetto al quale il Governo sta mettendo in campo azioni mirate, nella consapevolezza che aumentare il numero di coloro che si laureano, con un’attenzione specifica all’incremento delle lauree nei settori scientifici, è un tema che guarda al futuro del Paese, alla sua capacità di essere competitivo nel quadro internazionale”, così la Ministra Valeria Fedeli ha invece commentato i dati Ocse. “Le risorse per il sistema universitario sono naturalmente il primo punto da mettere all’attenzione – spiega Fedeli -. Quest’anno il Fondo per le Università aumenta dell’1%, crescerà del 4,2% nel 2018. Nella prossima legge di bilancio – prosegue la Ministra – porremo un’attenzione specifica all’Università e abbiamo in programma un ampio confronto su questo settore che lanceremo a novembre, coinvolgendo tutti gli attori in campo. Abbiamo già aperto un primo confronto sul tema delle lauree professionalizzanti. Il Paese deve individuare i propri obiettivi prioritari per i prossimi anni senza i quali le risorse rischiano comunque di non essere sufficienti”.
“Quanto al finanziamento del sistema di istruzione, i dati diffusi oggi – specifica Fedeli – si riferiscono al 2014. Da allora, con la riforma Buona Scuola e le successive leggi di bilancio, sono stati fatti investimenti importanti, tre miliardi a regime sulla scuola, che si evidenzieranno nei prossimi Rapporti dell’Ocse. Così come sono aumentati gli investimenti per l’Università. C’è già stato un cambio di passo, un impegno che intendiamo portare avanti”.
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