
Nuove Indicazioni Nazionali/2. Back to the Future?

Ciò che si sa è che le proposte sono state formulate da una commissione ministeriale coordinata da Loredana Perla, docente di Didattica e Pedagogia speciale all’Università di Bari, formata in prevalenza da pedagogisti ma della quale fa parte anche lo storico ed editorialista del Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia (che ha coordinato il gruppo che si è occupato della materia “storia”). E’ l’autore – insieme alla Perla – di un breve saggio, “Insegnare l’Italia, una proposta per la scuola dell’obbligo” (Scholé, 2023), volto a rilanciare l’identità italiana (tema al quale Galli ha dedicato numerosi volumi e articoli) attraverso un più finalizzato insegnamento della Storia e della Letteratura italiana.
Tra le novità proposte, da quanto emerge mettendo insieme interviste e articoli di giornale, il ritorno del latino in seconda e terza media (un’ora alla settimana, ma solo su richiesta delle famiglie), la rivalutazione della scrittura a mano e della memorizzazione, e la focalizzazione della Storia sulle radici della civiltà occidentale, con particolare riferimento alle vicende dell’Antica Grecia e di Roma, ai primi secoli del Cristianesimo, al Rinascimento, al processo di unificazione dell’Italia e alla storia contemporanea dell’Europa fino ai nuovi equilibri internazionali.
Immediate le reazioni politiche. Tuttavia, in assenza di un testo ufficiale delle nuove Indicazioni, esse danno la sensazione di un “teatrino” di dichiarazioni ideologiche: per PD e AVS si tratta di un “Ritorno al passato”. Per Elly Schlein, che lo ha detto al Nazareno in occasione del convegno “Appunti per la scuola di oggi e domani”, quelle di Valditara sono “sparate”, “l’elogio di un passato che non può tornare”. Ilenia Malavasi, deputata dem, parla di “sentimento vetero-nostalgico”, ed Elisabetta Piccolotti, di AVS, di “idee estemporanee e ideologiche”.
Ma è davvero così? Si torna solo indietro (Back), o si cerca nel passato, anche della scuola, qualche punto di riferimento per guardare a un suo futuro migliore (Back to the Future, come ha scritto Antonio Polito sul Corriere)?
Colpisce che mentre la premier Meloni vola a Washington a omaggiare il Presidente Trump (Le Grand Continent ha parlato di “vassallizzazione felice”, viste anche le ambizioni espressamente neoimperialiste del nuovo inquilino della Casa Bianca), incontrando i leader della nuova epoca digitale (da Elon Musk e Zuckerberg a Bezos, dal Ceo di OpenAI a quello di Google), il suo governo proponga il ritorno alle filastrocche e alle saghe nordiche. Sembra si voglia riproporre quella scuola di tanti decenni fa che ha funzionato molto bene per un’elite di persone che sono diventate classe dirigente o intellettuale. Sarà adatta agli studenti, a tutti gli studenti, che vivono in un’epoca in cui tecnologie come l’intelligenza artificiale e il quantum computing stravolgeranno letteralmente nel giro di pochi anni il modo di vivere, di lavorare e anche di pensare? Così sembrano pensare, aprendo alle proposte della commissione Perla, alcuni autorevoli intellettuali (chissà se loro hanno avuto l’opportunità di leggere il testo delle nuove Indicazioni) come Andrea Giardina, professore di storia romana presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, accademico dei Lincei e già presidente della Giunta Centrale per gli Studi Storici. A suo avviso “il rafforzamento dello studio della storia non può che far bene alla formazione degli studenti”, e anche “la sua periodizzazione appare più interessante”, grazie al maggior spazio riservato alla civiltà greco-latina e alla conoscenza del latino. Un tema, anzi un problema, quest’ultimo, che ha attraversato la storia della scuola italiana del Novecento, come ricordiamo nella notizia successiva.
Il dibattito sulle nuove Indicazioni è appena iniziato. Tuttavia, senza un documento ufficiale su cui riflettere, resta difficile valutarne l’effettiva portata.
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