Malpezzi: ‘Rafforzare l’alleanza tra scuola e imprese’

L’onorevole Simona Malpezzi, classe 1972, laureata in lettere moderne presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, docente, ha insegnato anche lingua e cultura italiana presso la Volkshochschule di Aschaffenburg, in Baviera. Dal 2013 è parlamentare del Partito Democratico, componente della Commissione “Cultura, scienza e istruzione”, nonché membro della Commissione Bicamerale “Infanzia e adolescenza”. Dal luglio 2017 è responsabile del dipartimento scuola del Partito Democratico. Tuttoscuola l’ha intervistata nel numero di novembre, riportiamo uno stralcio dell’intervista.

La ministra della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli, ha lanciato la proposta di ridurre a quattro anni la scuola superiore, in sintonia con la vecchia ipotesi, lanciata a suo tempo dal ministro Luigi Berlinguer, per completare il ciclo a 18 anni. Come si concilia questa proposta che, in qualche modo, potrebbe sconfessare la Buona Scuola? Qual è la posizione del PD in merito?
«Si tratta di una sperimentazione che riguarda 100 scuole e che cerca di fare tesoro delle esperienze già in atto. Cento scuole sono un numero marginale, ma che consente di trarre dei risultati attendibili, che nel 2023 saranno discussi con i rappresentanti del mondo della scuola e, quindi, non si sta procedendo a nessuna riforma calata dall’alto, ma a una sperimentazione come se ne fanno molte. La nostra riflessione non dovrebbe soffermarsi esclusivamente sulla domanda se è corretto o meno adeguarsi a uno standard europeo (anche se non è l’unico), che prevede che i ragazzi escano a 18 anni da scuola invece che a 19. Tra l’altro il dibattito su un tema come la riorganizzazione della scuola si sta prestando ad analisi troppo semplicistiche, che impediscono di avviare un ragionamento, a mio avviso necessario:  in quale direzione si deve andare per rinnovare e migliorare il nostro sistema scolastico da un punto di vista organizzativo, metodologico e didattico. Sbaglia, in questo senso, sia chi riduce ogni tentativo di sperimentazione a un taglio di risorse o docenti, sia che spinge per l’innovazione tout court senza riflettere sul modo migliore e più adatto per farlo. Ma non possiamo avere paura di discuterne. Quindi, aspettiamo di verificare gli esiti di queste prime sperimentazioni ma, nel frattempo, avviamo un grande dibattito pubblico con il mondo della scuola sul suo futuro. Dopo il tentativo di Berlinguer, non abbiamo più affrontato in modo organico il tema cicli, perché troppo spesso la scuola è diventata terreno di scontro e propaganda e questo ha impedito che si discutesse di un progetto di riforma di lungo periodo. Per questo, credo che dovremmo avviare – senza paura – una riflessione sui cicli in una visione unitaria, che parta dalla scuola dell’infanzia e arrivi a quella del secondo ciclo. Questo è un passaggio inevitabile che va fatto con grande attenzione, un approccio pedagogico serio e il coinvolgimento del mondo della scuola nell’ambito di un quadro di reale ed efficace rafforzamento dell’autonomia scolastica. La posizione del Pd è questa. Siamo convinti che la scuola vada accompagnata e sostenuta di fronte ai cambiamenti che il mondo sta affrontando.
Pensare a cicli diversi non sconfessa la Buona Scuola, ma si inserisce proprio nel solco del rinnovamento, che abbiamo proposto in questi anni».

Nel mondo globalizzato dovrebbe trovare spazio l’Educazione Finanziaria, anche per evitare che i risparmiatori diventino vittime, come è emerso nei casi delle banche fallite negli ultimi anni…
«Il dibattito sul futuro delle politiche educative si articola principalmente su una domanda: quali sono gli strumenti migliori per adattare i nostri sistemi di istruzione e formazione alle nuove esigenze della società? Oggi il tema non è semplicemente quello di introdurre nuove discipline. Il punto cruciale è quello delle competenze; la questione fondamentale del cosa e del come imparare richiede un approccio diverso. Quindi credo si debba lavorare per migliorare la qualità delle abilità dei ragazzi, integrando le nuove competenze (soft skills) nei curricoli.
Credo fermamente che imparare per competenze trasversali possa favorire gli indispensabili processi di innovazione e di cambiamento e che sia necessario imparare ad utilizzare competenze disciplinari per risolvere questioni trasversali. 
Ma questo, come dicevo prima, impone una riflessione articolata e non ideologica sull’organizzazione della scuola. Inoltre, se vogliamo garantire ai ragazzi nuovi percorsi di conoscenza, dobbiamo fare in modo che i percorsi di aggiornamento e formazione dei docenti, siano in grado di fornire strumenti adeguati alle nuove competenze.  Da questo punto di vista un primo passo è stato computo con il Piano Nazionale di Formazione».

Leggi l’intervista integrale, sfoglia il numero di novembre di Tuttoscuola

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