Ma può l’autonomia rivolgersi contro la legge?

Decine e decine, forse a questo punto centinaia di collegi dei docenti, hanno approvato negli scorsi mesi documenti nei quali si dichiarava, con qualche variazione sul tema, che la normativa sull’autonomia delle scuole, dal DPR 275/99 al nuovo titolo V della Costituzione, consente agli organi delle singole istituzioni scolastiche, e in particolare ai Collegi dei docenti, di decidere in materia di organizzazione didattica.
Di conseguenza i Collegi avrebbero il diritto di contestare l’introduzione per via legislativa della figura del tutor, e anche quello di scegliere un modello organizzativo alternativo. Riemerge così una antica disputa, risalente agli albori del dibattito sull’autonomia (se ne parlò già nel 1990, in occasione della Conferenza nazionale sull’autonomia delle scuole): l’autonomia è da intendersi come un mezzo o come un fine? Quali sono i suoi confini? Può l’autonomia delle scuole giungere a mettere in discussione una prescrizione legislativa?
Applichiamo queste domande al caso in questione: le funzioni attribuite al tutor possono essere legittimamente ridistribuite tra i docenti del team, per esempio mantenendo i moduli di tre insegnanti ogni due classi, senza alterare le finalità che il decreto legislativo pone alla base della scelta di introdurre questa figura? L’autonomia si pone a monte o a valle di questa scelta? Se la risposta fosse che si pone a monte (orientamento che sembra emergere nelle prese di posizione di alcuni Collegi) si andrebbe in direzione di una sorta di autarchia professionale dei corpi insegnanti, con il conseguente aumento della diversificazione dell’offerta formativa pubblica (e degli squilibri) sul territorio: uno scenario che per certi aspetti avvicinerebbe la scuola italiana a quella americana, ma forse non nei suoi aspetti migliori.