Le classi pollaio e le pluriclassi, segno di povertà educativa

La questione delle classi sovraffollate è tornata al centro del dibattito sulla scuola dopo il dossier di Tuttoscuola “Classi pollaio, ora basta!”, scaricabile qui. Proviamo ad andare alle origini del fenomeno.

Nella scuola di fine ottocento e soprattutto nelle zone rurali gli alunni venivano raggruppati in un determinato territorio ed affidati ad un maestro, così come negli altri gradi scolastici si procedeva a suon di esami a seconda dei livelli culturali posseduti dagli studenti. Nella scuola elementare, con la riforma Casati, l’intervento dello Stato rimandava ad una programmazione dell’attività educativa, e si introdussero, soprattutto nelle aree urbane, le classi per età.

Da allora il carattere programmatorio-finanziario estese tale criterio a tutto il sistema. Certo i raggruppamenti per età diverse non furono del tutto eliminati, ma rimasero residuali in quei territori disagiati e per quei comuni con scarse risorse economiche. Negli anni sessanta del secolo scorso il prolungamento dell’obbligo di istruzione fino ai 14 anni consolidò tale principio in difesa del diritto allo studio, ed anche in montagna o nelle piccole isole furono introdotti sussidi (la televisione) che riproducevano il lavoro delle aule, con un paio di docenti che fungevano da tutor.

In quel periodo alle classi venne attribuita una funzione pedagogica, cioè luogo di osservazione e di messa in opera di strategie finalizzate alla socializzazione ed al corretto sviluppo psicologico e relazionale, in quanto ritenute capaci di facilitare e sostenere l’apprendimento, affidandone il controllo al consiglio di classe.

Ben presto però anche in considerazione di scarse disponibilità economiche, a seguito attorno alla fine del secolo di significativi cali di investimenti in tutto il sistema scolastico, il numero delle classi divenne un indicatore tenuto saldamente nelle mani del ministero del Tesoro, soprattutto per far quadrare il rapporto tra le risorse del bilancio statale e l’assunzione del personale. Ogni anno dunque venivano centellinati i posti e questo condizionava sia il numero degli studenti, sia eventuali cambiamenti nell’ordinamento.

Da qui la diminuzione delle dirigenze, l’aggregazione dei plessi e degli indirizzi e i numeri massimi aumentati e minimi diminuiti per autorizzare la costituzione delle classi. Da una parte il sorgere delle così dette classi pollaio, soprattutto nei grossi centri urbani, nelle scuole di primo e secondo grado dove l’utenza si rivelava più mobile anche per scelte ritenute di maggiore qualità e dall’altra il ritorno alle pluriclassi soprattutto nelle zone in cui per lo più era in atto uno spopolamento. Risultato: nei centri urbani si è creata una sovrappopolazione con una carenza di spazi e nelle zone periferiche e rurali le strutture sarebbero in grado di accogliere gli alunni con maggiore sicurezza, ma devono chiudere.

In entrambi i casi si tratta, come si è detto, di scarsi investimenti ed anche le risorse aggiuntive attribuite con il recente decreto “sostegni bis” non sono state in grado di risolvere il problema, in quanto tanti altri buchi, in primis l’aumento delle nomine ed altre emergenze economiche delle scuole, hanno assorbito le risorse e il guardiano dell’economia continua a tiranneggiare sulle previsioni strutturali del bilancio per il settore.

Per approfondimenti:
CLASSI POLLAIO, ora basta! Un dossier racconta una piaga irrisolta. SCARICALO GRATIS

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