Lavori socialmente utili o attività in favore della comunità scolastica?

Per Lavori Socialmente Utili (LSU) si intendono le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi svolte mediante l’utilizzo dei soggetti percettori di sostegni al reddito, quindi in stato di svantaggio nel mercato del lavoro (disoccupazione, mobilità, cassa integrazione guadagni straordinaria) che, in questo modo, sono impiegati a beneficio di tutta la collettività”. (sito Ministero del lavoro)
 
I lavori socialmente utili, detti anche di pubblica utilità, vengono adottati come sanzione penale sostitutiva in svariati ambiti di applicazione.
Il lavoro di pubblica utilità (LPU) è ritenuto una sanzione penale sostitutiva (…) consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale o volontariato” (sito Ministero di Grazia e Giustizia).
 
Come spiega il sito Avvocato360.it, “originariamente, la sanzione era prevista nei procedimenti di competenza del giudice di pace, ai sensi dell’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274. Lo spettro di applicazione della sanzione è stato successivamente allargato a numerose e diverse fattispecie penali, che hanno configurato i lavori socialmente utili come una modalità di riparazione del danno collegata all’esecuzione di diverse sanzioni e misure penali, che vengono eseguite nella comunità”. Ad esempio, l’art. 186 comma 9-bis del Codice della Strada permette di sostituire multa e carcere con un lavoro socialmente utile.
 
Cosa intendiamo dire? Che far riferimento al concetto di “lavori socialmente utili” in ambito scolastico può sviare, perché inevitabilmente la maggior parte delle persone pensano a fattispecie diverse.
 
Invocare i lavori socialmente utili può insomma generare incomprensioni o quanto meno prestarsi ad equivoci anche su questioni sulla quali c’è un ampio consenso (chi pensa che gli studenti possano distruggere impunemente una scuola durante un’occupazione?).
Pertanto, in primo luogo, è consigliabile utilizzare una diversa terminologia, almeno fino a quando si rimane nel campo strettamente scolastico, tenendo conto che in caso di reati commessi da uno studente si entra anche nel campo della giustizia, con i relativi strumenti e canoni.
 
Basterebbe far riferimento allo Statuto delle studentesse e degli studenti (DPR 235/2007) che all’art. 4, comma 2 prevede “I provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino di rapporti corretti all’interno della comunità scolastica, nonché al recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica”.
 
Il successivo comma 5 prevede, comunque, che, nel caso sia stata irrogata dal consiglio di classe una sanzione “allo studente è sempre offerta la possibilità di convertirle in attività in favore della comunità scolastica”.
 
Può sembrare una questione di lana caprina, una mera disquisizione stilistica. Ma dietro alle parole ci sono idee e anche visioni che possono differenziarsi molto.
 
Alcune sere fa, ospite di Bruno Vespa a “Porta a Porta”, il ministro Valditara non ha citato lo Statuto, ma il senso del suo messaggio sembra essere quello di restare nel contesto educativo e in quell’ambito trovare le soluzioni più opportune. Prima di ricercare sanzioni sostitutive, occorrono proposte pedagogiche in grado di stimolare il protagonismo degli studenti all’interno di una strategia didattica guidata dalla scuola, implementata in collaborazione con altri attori sociali. Dal servizio agli altri si genererà l’apprendimento e la comprensione profonda dei valori di cittadinanza. Questa ci sembra la via maestra da seguire.

Sempre a “Porta a Porta” Antonello Giannelli, presidente dell’ANP (Associazione dei Presidi), ha confermato che da tempo molte scuole convertono l’eventuale sanzione in attività utili alla comunità scolastica. È stato un modo per condividere le considerazioni del ministro e per evidenziare anche la responsabilità e l’autonomia delle istituzioni scolastiche.

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