La scuola nella Legge di stabilità

A partire da quella relativa all’esercizio finanziario 2011 la ex ‘Legge finanziaria’ ha assunto la denominazione di Legge di stabilità, in omaggio alla filosofia europea del ‘Patto di stabilità’ che chiede a tutti gli Stati che hanno sottoscritto il trattato di Maastricht di coordinare l’attività finanziaria statale con quella degli altri livelli di governo, a partire da quello regionale, al fine di rispettare i requisiti di convergenza economico-finanziaria definiti in sede europea.

La Legge varata dal governo Renzi si è attenuta a questa regola, pur giudicandola poco efficace ai fini della crescita (che è peraltro un obiettivo dello stesso Patto di stabilità), e ha proceduto a tagli che hanno colpito soprattutto le finanze regionali.

Da questo punto di vista, la scuola è stata toccata dalla Legge solo in modesta misura, perché le competenze trasferite alla Regioni sono assai limitate (essenzialmente il diritto allo studio), mentre è sulle competenze in capo allo Stato che si sono registrati gli interventi più consistenti, dal blocco  dei contratti del pubblico impiego alla modifica della composizione delle commissioni d’esame per la maturità.

Le Regioni hanno reagito negativamente (anche se Chiamparino, che le coordina, mostra disponibilità a negoziare) ma non rinunciano a rivendicare l’estensione in chiave federalista delle loro competenze scolastiche. Emmanuele Bobbio, assessore in Toscana, che coordina gli assessori regionali all’Istruzione, sostiene che “ci sono troppi livelli in campo, dagli uffici scolastici ai Comuni alle Regioni: occorre chiarire quali sono le competenze di ciascuno e i meccanismi di raccordo per governare il settore.

Nel documento di 17 pagine approvato dalla Conferenza delle Regioni i governatori chiedono, dopo aver espresso apprezzamento per il documento ‘La Buona Scuola’, di “realizzare un modello di governance condiviso del sistema educativo, quale presupposto imprescindibile per rendere efficiente ed efficace l’azione di governo e coordinare al meglio gli interventi” e di “descrivere un sistema di Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP) – analogamente a quanto è stato fatto nella sanità – per poter definire con criteri oggettivi il fabbisogno  formativo sulla base di uno standard condiviso e realizzare un sistema efficiente, razionale e sostenibile di riparto delle risorse nazionali (di personale e finanziarie) ed un efficace sistema di controllo e valutazione dei risultati”.

Si spera, vorremmo aggiungere, con un risultato migliore di quello conseguito in questi anni nella Sanità.