La scuola di Gramsci: conoscere è vivere

La vasta letteratura sul pensiero di Antonio Gramsci, che raggiunse il suo apice nei due decenni successivi alla pubblicazione dei Quaderni del carcere(1948-1951, seguiti poi da edizioni critiche), ma che ha continuato ad ampliarsi sia in Italia sia, più recentemente, nel mondo anglosassone, si arricchisce ora di un’opera specificamente dedicata all’intenso rapporto che l’intellettuale e dirigente politico sardo intrattenne lungo tutta la sua vita con la tematica dell’istruzione e dell’educazione, termini peraltro a suo giudizio concettualmente interconnessi.

È infatti disponibile in libreria il volume “Gramsci per la scuola. Conoscere è vivere”, di Giuseppe Benedetti e Donatella Coccoli, pubblicato dalle edizioni ‘L’Asino d’oro’ (Roma, 2018), con prefazione dello storico e politologo Marco Revelli. Non si tratta di un lavoro accademico (Benedetti è un professore di scuola secondaria, Coccoli è una giornalista, entrambi collaboratori di Left) ma di una organica e puntuale ricostruzione della vita e del pensiero di Gramsci centrata sulla sua visione dello stretto rapporto che lega conoscenza, impegno politico e riscatto sociale.  

Il volume è diviso in dieci capitoli, uno solo dei quali, il sesto, parla del tema ‘scuola’ con taglio monografico, evidenziando due dei capisaldi del pensiero gramsciano in materia di politica scolastica: la necessità che la scuola sia “disinteressata e umanistica per tutti”, non legata a interessi economici, per almeno 10 anni, e che sia impegnativa, perché “anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso”, ed è “un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza”.

Riferimenti al ruolo dell’educazione e della cultura, e allo stretto legame tra formazione intellettuale e impegno civile e politico, si trovano tuttavia anche negli altri nove capitoli, in alcuni dei quali l’esposizione del pensiero di Gramsci si intreccia con elementi biografici, in una narrazione che gli Autori sanno rendere sempre interessante e a tratti avvincente.

Come Revelli nota nella sua prefazione alcune delle idee di Gramsci in campo pedagogico conservano una forte attualità, per esempio la critica rivolta alle scuole professionali, intese come luoghi di mero addestramento (quando Gramsci ne parlava esistevano ancora i corsi postelementari di avviamento al lavoro), e le osservazioni sull’importanza dello studio delle lingue morte – latino e greco – che proprio perché prive di una immediata utilità pratica possono educare al senso storico e alla formazione critica.

Non mancano in questo libro riferimenti polemici all’attualità, per esempio dalla “deriva riformistica” che negli ultimi decenni ha dimenticato la lezione di Gramsci per imboccare la strada di una scuola poco esigente, culminata in una ‘Buona Scuola’ che attraverso l’Alternanza scuola-lavoro giunge a teorizzare il carattere non “disinteressato” della formazione scolastica, e anzi la sua subordinazione a ottiche e (dis)valori di tipo economicistico.

Gli Autori di questo libro non ne nascondono il carattere militante, che emerge con forza anche nel capitolo dedicato a don Lorenzo Milani e alla sua Lettera a una professoressa, “quanto di più lontano vi sia dal pensiero pedagogico di Gramsci” per la feroce condanna del sapere tradizionale e delle bocciature in essa contenuto. Ma la responsabilità delle bocciature, obiettano gli Autori con Sebastiano Vassalli e altri, non va attribuita agli insegnanti, bensì al modello di scuola selettiva voluto dalle classi dirigenti. L’alternativa a questa scuola non è una scuola più facile e più ‘inclusiva’, ma una scuola più esigente e più formativa per tutti gli studenti, perché – come recita il sottotitolo di ispirazione gramsciana di questo volume – “conoscere è vivere”.

La vera chiave di volta – a nostro avviso – è nella personalizzazione, nel definire obiettivi formativi più adatti ai talenti di ognuno. Restare attaccati a un’idea di livello standard minimo in tutte le materie uguale per tutti, costringe ad abbassare troppo l’asticella (con il rischio di dequalificare il titolo e di “perdere” le eccellenze) o a tenerla troppo alta per molti (escludendoli completamente e mortificando i talenti che magari hanno solo in alcune discipline: invece in quelle discipline devono poter andare avanti, e nelle altre si certificherà che non è stato raggiunto il livello di competenza previsto). Nella cornice di questa didattica individualizzata e flessibile, fatte insomma “parti diverse tra diversi”, la scuola può e deve restare severa e impegnativa, ma appunto secondo le possibilità e le attitudini di ognuno.