La scuola che sogniamo è apprendimento collaborativo: dal gergo alle cose. Cooperare fra insegnanti

di Vincenzo Schirripa

Brainstorming e cooperative learning: ricordo un intero pomeriggio d’esami scandito da queste parole. Erano laureati, più o meno freschi, alle prese con un corso universitario per essere abilitati all’insegnamento secondario. Discutevamo un loro breve saggio di progettazione didattica. Ed ecco: per affrontare questo o quell’argomento di storia, tutti sarebbero partiti da un brainstorming, tutti avrebbero attivato del cooperative learning. Chiedevo di raccontarmi come l’attività si sarebbe potuta concretamente svolgere: niente, l’esercizio di immaginazione non decollava.

C’era da rifletterci. Mediamente erano persone in gamba. Si trovavano sotto esame e dovevano trovare una strada per uscirne bene. Doveva sembrar loro ragionevole, per farci contenti, arrangiarsi così con quelle parole magiche: giustapponendole senza farle reagire, senza tradurle in immagini radicate nel repertorio di situazioni scolastiche vissute che avevano cominciato a cumulare. Non ritrovavo tracce del lavoro che, mi pareva, in quelle settimane avevamo fatto assieme. “Avevamo fatto insieme”: in realtà io sapevo solo quel che avevano fatto con me, e anche questo è poco cooperativo. Ero insoddisfatto ma c’era da imparare, almeno due cose.

La prima era una buona notizia: quelle parole magiche, così luccicanti quando le avevo incontrate da scout e da educatore volontario, si erano ormai affermate. Quando entriamo in un contesto nuovo la nostra socializzazione consiste anche nel conquistarci un minimo di gergo da imitare e da spendere: non basta a cambiare il nostro modo di stare nelle situazioni ma qualcosa fa. Il gergo pedagogico che questi insegnanti avevano messo insieme e mobilitato al momento del bisogno attestava forse aspettative sproporzionate riposte nel brainstorming, ma soprattutto lasciava trasparire l’accettazione di un compito: dalla scuola ci si aspetta che la gente impari a cooperare e impari cooperando. Non bastava ma non era nemmeno scontato.

Sono passati degli anni e sembra che anche fuori dal mondo della scuola e delle scienze umane la cooperazione, l’idea che quest’arte si possa imparare e che convenga farlo, gode di ottima stampa. I sapiens hanno vinto perché sanno cooperare in grandi numeri, ripete una saggistica di successo. La scuola è il posto giusto per coltivare questa attitudine a livello microsociale: affermazione che risuona in ben altri paraggi rispetto alla matrice riformista o radicale delle sue teorie psicosociali d’origine; gli appelli a saper cooperare e gestire i conflitti per qualificare il capitale umano e prepararsi al lavoro vengono da pulpiti tali che li si può anche leggere come segno di invasive logiche di mercato. L’insegnante che vuole investire la propria fatica nell’attivare dinamiche cooperative ha dalla sua il discorso pedagogico ufficiale e un relativo consenso esterno. Ma è veramente così? E quando si passa dal dire al fare?

La seconda lezione di quel pomeriggio era una conferma: l’affermazione dell’apprendimento cooperativo nel gergo della categoria non basta e può diventare controproducente, se non corrisponde a nessuna possibilità di far esperienza, in contesti adatti, di modi specifici di lavorare e di stare in relazione; i corsi universitari e la formazione in servizio potrebbero tenerne conto un po’ di più ma comunque non potrebbero sopperire all’assenza di certe condizioni. Ne propongo tre, relativamente coltivabili a patto di organizzarsi.

La prima è una vigilanza pragmatica sulle condizioni di contesto (…). La seconda è la disponibilità a lavorare su di sé assieme ad altri pari (…) Tre: che ci si confronti sulle pratiche. Attivare la classe per gruppi richiede una previsione articolata delle operazioni e un’attenzione distribuita sul processo e sul prodotto, sulle interazioni e su quel che ciascuno ha imparato. Si può essere i soli adulti in aula (pazienza) ma non si può essere soli prima e dopo, perché non avremmo accesso pieno a tutto quel che c’è da osservare senza un contesto in cui ripensare l’esperienza da adulti.

(…)

Il testo integrale dell’articolo è consultabile nel numero di gennaio di Tuttoscuola.

Abbiamo parlato dell’apprendimento collaborativo nell’inserto de La scuola che sogniamo pubblicato su Tuttoscuola 

La scuola dell’apprendimento collaborativo è il modello che abbiamo presentato a gennaio all’interno del nostro progetto “La scuola che sogniamo”.

Nell’inserto pubblicato all’interno del numero 608 gennaio di Tuttoscuola troverai anche i seguenti approfondimenti sulla scuola della ricerca:

– Diventare gruppo, costruire comunità, di Italo Fiorin
– L’apprendimento collaborativo. Come promuovere la dimensione collaborativa a scuola? Riflessioni a partire dall’esperienza, di Antonella Arnaboldi
– Incontrare l’Altro e creare un contesto cooperativo: l’esperienza di Dada Logica, di Lidia Cangemi
– Oggi giochiamo ad essere. Un’esperienza di apprendimento collaborativo nella scuola primaria, di Francesca Mazzone

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