L’apprendimento collaborativo. Come promuovere la dimensione collaborativa a scuola? Riflessioni a partire dall’esperienza

Di Antonella Arnaboldi*
“Incoraggiare l’apprendimento collaborativo.
Imparare non è solo un processo individuale. La dimensione sociale dell’apprendimento svolge un ruolo significativo. In tal senso, molte sono le forme di interazione e collaborazione che possono essere introdotte (dall’aiuto reciproco all’apprendimento cooperativo, all’apprendimento tra pari), sia all’interno della classe, sia attraverso la formazione di gruppi di lavoro con alunni di classi e di età diverse”.
(Indicazioni Nazionali, 2012)

 

Molto sinteticamente possiamo definire l’apprendimento come un processo che porta ad un cambiamento e che avviene come risultato di un’esperienza (Mayer, 2002). Da ciò deriva che l’apprendimento presuppone un’interazione con l’ambiente, un sistema di relazione tra l’individuo ed il contesto. E di cosa è costituito il contesto, l’ambiente? È lo ‘spazio’ che ci circonda, fisico, sociale, culturale, emotivo. Ne consegue che il processo stesso di apprendimento implica l’altro, il pensare l’altro come risorsa, opportunità. Ce lo dicono non solo autorevoli studiosi quali Piaget, Vygotskij, Bruner, ma anche i più recenti studi di psicologia cognitiva e lo confermano le ricerche delle neuroscienze. Il processo di apprendimento si realizza all’interno di una reciprocità, uno scambio di conoscenze, abilità, competenze. Ricordiamo come tale processo sia continuo e avvenga in contesti differenti – formali, informali, non formali – e come di ciò la scuola debba tenere costantemente considerazione. L’apprendimento del bambino è, in ogni contesto, innanzitutto sociale (Indicazioni Nazionali docet) e perciò la scuola deve promuovere forme di apprendimento collaborativo che favoriscano e agevolino non solo lo sviluppo cognitivo, ma anche quello relazionale, sociale, emotivo degli alunni. L’apprendimento collaborativo presuppone – conditio sine qua non – docenti ben disposti: informati, formati, motivati, appassionati, inclusivi, privi di pregiudizi e consci del loro prezioso e insostituibile ruolo. Docenti in grado di organizzare molteplici e polifunzionali ambienti di apprendimento in luogo di aule, capaci di gestire con autorevolezza le dinamiche relazionali all’interno del gruppo, disposti all’accoglienza e all’ascolto, coscienti del fatto che valutare significhi offrire un’opportunità formativa agli studenti e non tradursi in un marchio duraturo (in positivo o in negativo), consapevoli che lo scendere dalla cattedra non rappresenti una “perdita di potere”, comporti una nuova centralità propulsiva alla crescita degli studenti, di tutti gli studenti. Di questo abbiamo parlato nell’inserto de La Scuola che sogniamo pubblicato all’interno del numero di gennaio di Tuttoscuola.

Il ruolo dei docenti

Organizzare una didattica basata sull’apprendimento collaborativo presuppone, da parte dei docenti, conoscenze e competenze specifiche.

Spesso la laurea non risulta sufficiente a ‘dotare’ gli insegnanti di tali competenze, a volte neppure dottorati o master riescono a centrare l’obiettivo. E allora? Purtroppo in alcuni casi l’errore è a monte e consiste nel considerare l’insegnamento – superficialmente – una opportunità di lavoro come un’altra, anzi a volte come “l’ultima spiaggia” a cui rivolgersi in mancanza di altre occasioni. In realtà, chi la scuola la conosce e la vive, sa bene che non è così. Non è assolutamente così! L’insegnamento non è per tutti, è una professione complessa che richiede accurate e specifiche competenze che, chi non le possiede, dovrà scrupolosamente costruire e chi ne è provvisto dovrà costantemente aggiornare, adattandole ai cambiamenti, alle innovazioni, alle evoluzioni che accompagnano i cambiamenti sociali. I continui cambiamenti sociali e culturali. Occorrono impegno e passione.

Cos’è l’apprendimento collaborativo?

Innanzitutto deve essere chiaro che apprendimento collaborativo non si traduce banalmente nel proporre di lavorare in “lavoro di gruppo”, senza che questa attività venga strutturata, individuando ruoli, promuovendo interdipendenza positiva, e, prima ancora, condividendo con gli allievi, piccoli o grandi che siano, le finalità e gli obiettivi del lavoro. Condividere, precisiamo, non si traduce riduttivamente nell’informare gli studenti sul da farsi. È molto di più, è un “partecipare” con il gruppo, coinvolgendolo nel definire i percorsi, la motivazione (il perché), il metodo (il come), l’intensità dell’impegno (il quanto), i tempi (il quando). L’ottimo sarebbe riuscire a individuare obiettivi e finalità – quando possibile – facendo riferimento ai bisogni degli allievi, le specifiche esigenze degli alunni di quella scuola, di quella classe. Questo significherebbe veramente partire con il piede giusto, favorire un apprendimento significativo, interessante per gli alunni, attivare un processo che dia senso alle conoscenze, integrando nuove informazioni con quelle già possedute (D. Ausubel), realizzare un apprendimento che non separi la scuola dalla vita.

Nel proporre il lavoro di gruppo il docente dovrà poi esplicitare agli studenti le modalità organizzative che di volta in volta saranno attivate: lavoro a coppie, a piccoli gruppi, a grandi gruppi, anche a classe intera, o, perché no, coinvolgendo studenti di classi e livelli diversi…importante è che gli obiettivi e il percorso per raggiungerli siano chiari e ben definiti.

La didattica collaborativa si configura come un processo di apprendimento co-costruito, che rafforza le competenze metacognitive, rendendo gli allievi consapevoli dei propri punti di forza e debolezza, delle proprie capacità, ma anche dei limiti che ciascuno di noi ha e sui quali lavorare nel tentativo di superarli, magari traendo benefici dalle opportunità di positivi scambi con i compagni in un percorso non competitivo, ma di reciproco supporto per riuscire, con il contributo di tutti, a raggiungere la meta. È una modalità che favorisce l’inclusione, valorizzando ogni diversità poiché tutti possono, in un modo o nell’altro, offrire un contributo e aggiungere ‘un pezzo’ necessario o indispensabile per arrivare alla meta.

Spetta comunque al docente operare affinché la collaborazione sia reale e non fittizia e fare in modo che non si trasformi in un generico “lavoro di gruppo” dove ciascuno lavora vicino agli altri, ma senza reali interazioni, con il rischio di non favorire crescita, conoscenza, apprendimento. In un gruppo realmente cooperativo ciascuno dovrà mettere a disposizione i propri saperi – sapere, saper fare e saper essere – per favorire quelli degli altri in un’ottica di reciprocità. Se sono brava a dipingere gli altri potranno beneficiare di questa mia dote migliorando le loro abilità pittoriche e io, ascoltando il compagno che descrive il percorso di ricerca, potrò invece implementare la mia attitudine oratoria. Non una divisione del lavoro, ma un procedere assieme.

*Dirigente scolastica dell’IC San Nilo di Grottaferrata

Abbiamo parlato dell’apprendimento collaborativo nell’inserto de La scuola che sogniamo pubblicato su Tuttoscuola 

La scuola dell’apprendimento collaborativo è il modello che abbiamo presentato a gennaio all’interno del nostro progetto “La scuola che sogniamo”.

Nell’inserto pubblicato all’interno del numero 608 gennaio di Tuttoscuola troverai anche i seguenti approfondimenti sulla scuola della ricerca:

– Diventare gruppo, costruire comunità, di Italo Fiorin
– Dal gergo alle cose: cooperare fra insegnanti, di Vincenzo Schirripa
– Incontrare l’Altro e creare un contesto cooperativo: l’esperienza di Dada Logica, di Lidia Cangemi
– Oggi giochiamo ad essere. Un’esperienza di apprendimento collaborativo nella scuola primaria, di Francesca Mazzone

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