La crisi di governo e il futuro della Buona scuola

Le scelte di governo che stanno maturando in queste ore possono avere effetti non trascurabili sul futuro della Buona Scuola e, in particolare, di quelle norme che mancano ancora di dispositivi per la loro attuazione, come ad esempio, le deleghe. Soprattutto sarà la durata del nuovo esecutivo a far pendere la bilancia a favore o contro.

Esaminiamo innanzitutto le deleghe la cui approvazione definitiva è prevista per metà gennaio e, virtualmente destinate a decadere.

Se con un provvedimento tipo milleproroghe il termine delle deleghe dovesse essere congruamente prorogato, occorrerebbe un tempo non breve per portarle a termine (senza considerare eventuali modifiche ai testi dovute al rapporto costituzionalmente corretto tra Stato e Regioni, le quali hanno diritto all’intesa anziché all’espressione di semplice parere). Se le elezioni dovessero tenersi tra febbraio e marzo, mancherebbero tecnicamente i termini per varare i nuovi decreti legislativi delegati.

Sorte diversa se le elezioni si dovessero tenere poco prima dell’estate o addirittura alla loro scadenza naturale del 2018.

Oltre alla questione dei termini c’è anche quella non trascurabile della composizione del nuovo governo. Se si dovesse andare ad un esecutivo di larghe intese o con l’appoggio esterno, ad esempio, di Forza Italia, non vi è dubbio che la Buona Scuola potrebbe essere usata come “merce di scambio” non solo per affidare il ministero ad una personalità che si discosti dalla linea renziana sulla scuola, ma anche per chiedere modifiche alla legge 107/15 per quelle norme non troppo gradite agli insegnanti (un corpo elettorale che, a quanto sembra, ha votato per il no al referendum).

Presto si saprà che piega prenderà il quadro politico, ma l’implementazione della “Buona scuola” renziana non è così scontata.