Istruzione tecnica/4. Il rischio di una nuova frammentazione

E’ vero – come ha ricordato anche il ministro Gelmini in questi giorni – che le aziende italiane “domandano” 300.000 diplomati tecnici all’anno, contro un output del nostro sistema educativo di 140.000. Ma è anche vero che quasi mai i neodiplomati soddisfano le esigenze delle imprese, che devono sostenere costi ulteriori per la loro formazione on the job, e che difficilmente i diplomati futuri – quelli che usciranno dagli istituti tecnici riformati – avranno competenze tecniche maggiori e migliori di quelle dei loro predecessori, visto che, stando alle documentate proteste degli interessati, le ore riservate alle materie tecniche diminuiranno.

E’ tutto da vedere, poi, se e quanto gli ampi spazi di autonomia curricolare consentiti dal nuovo Regolamento (fino al 35% nel quinto anno) potranno essere utilizzati per consolidare la formazione delle competenze tecniche dei futuri diplomati. C’è il rischio che tali spazi possano essere utilizzati per ricostruire “dal basso”, sul territorio – magari anche per venire incontro alle esigenze degli insegnanti “sacrificati” – quella frammentazione che in passato discendeva dal profluvio di decreti ministeriali che autorizzavano le sperimentazioni. Il tal caso il beneficio della riduzione e semplificazione dei percorsi (11 in tutto) sarebbe contraddetto dall’aumento – di proporzioni imprevedibili – della varianza curricolare locale. E si riproporrebbe la questione dell’esame conclusivo, e della diversificazione delle seconde prove.

E’ certamente auspicabile che alcuni aspetti del nuovo Regolamento, come quelli ora richiamati, possano essere oggetto di dibattito e di ulteriori approfondimenti prima del varo definitivo del provvedimento. Ricordando che tutto, o quasi tutto, dipenderà comunque dalla formazione degli insegnanti, a partire da quelli in servizio.