Il tramonto (o il suicidio?) dell’Occidente

Venerdì scorso Brahim Baya, 40 anni, portavoce della moschea Taiba di via Chivasso a Torino, ha tenuto in un locale dell’Università di Torino, occupato dagli studenti pro-Palestina, un sermone-preghiera su richiesta di alcuni studenti musulmani attaccando i “sionisti” e il loro “colonialismo criminale” in Palestina. 

Il suo discorso dai toni accesi e radicalmente antioccidentali (ha perfino evocato le Crociate come prova dell’espansionismo colonialista dell’Europa cristiana), finito subito sui social, è stato subito condannato dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini, dal rettore del Politecnico, Paolo Corgnati, e da quello dell’Università Stefano Genua, perché in contrasto con “i principi di indipendenza e laicità delle istituzioni universitarie” (perfino il mite Gramellini ha parlato sul ‘Corriere della Sera’ di “preghiera abusiva”).

Eppure, Brahim Baya non è certo il solo a condannare il “colonialismo” dell’Occidente cristiano, come mostrano le forti pulsioni autocritiche che emergono nelle università americane (dalla Cancel Culture alla Critical Race Theory), condivise però anche da alcuni intellettuali europei tra i quali, in Italia, Piergiorgio Odifreddi, autore di un recente saggio intitolato “C’è del marcio in Occidente” (Raffaello Cortina Editore, 2024).

Si attende perciò con interesse l’esito del dialogo programmato per lunedì 27 sera, nella sede dell’Università di Torino (Palazzo Nuovo), tra Odifreddi e Brahim Baya. Nel suo libro Odifreddi, matematico che ha anche insegnato a lungo negli Stati Uniti, scrive di rendersi conto “con sempre minor sorpresa, e sempre maggior fastidio (…) dei modi violenti in cui gli Stati Uniti l’hanno sempre fatta da padroni: sfruttamento economico, embargo commerciale, occupazione militare” e di sentire dentro di sé “la vergogna di appartenere a una razza, una cultura e un blocco economico-politico- militare che ha così tanto, è così a lungo, bistrattato il resto dell’umanità” (p. 18).

Eppure, verrebbe da obiettare, è proprio in Occidente che si sono affermati i principi della libertà di pensiero, della società aperta, della democrazia pluralista, e che è stato elaborato quel “canone culturale e pedagogico occidentale”, fondato sul senso critico, sulla tolleranza e sul confronto, sulla pluralità e storicità delle culture, che consente a lui e a Brahim Baya di dialogare pubblicamente, e al quale peraltro lui stesso ha attinto scegliendo per il suo libro un titolo che è la parafrasi di un verso dell’Amleto di Shakespeare: “Something is rotten in the State of  Denmark” (ma lui dice “West”, Occidente).

Tutto di cui vergognarsi? Tutto da buttare nel cestino di una Storia che finirà nel suicidio collettivo di una inevitabile “Terza Guerra Mondiale, combattuta tra l’Occidente e il resto del pianeta”, come scrive Odifreddi alla fine del suo libro (p. 252)? L’autore – che in un’intervista a La Stampa nel 2008 sostenne che “il sistema democratico è di tre secoli fa, è anacronistico” e che “il sistema dei soviet era più moderno” – è pessimista, anche se concede che “in realtà ci sarebbe anche una soluzione alternativa: che l’Occidente ammettesse le proprie secolari malefatte, compensasse gli enormi danni provocati, rinunciasse a dominare l’intero pianeta, e concordasse insieme al resto dell’umanità un governo mondiale democratico”. Una reminiscenza possibilista del molto “occidentale” Kant di “Per una pace perpetua”? Odifreddi ci crede poco: “Sarebbe la soluzione razionalmente più sensata, eticamente più equilibrata, moralmente più giusta e politicamente più pacifica, ma non rientra nel carattere aggressivo, arrogante e prevaricatore dell’Occidente”. E dunque, “non verrà scelta spontaneamente”.  Questa è la conclusione: “Chi sopravviverà, vedrà. Ma scommetto che non sarà una bella visione, comunque andrà”. Meglio la visione offerta dai regimi comunisti, passati e attuali, evidentemente.

Non resta che augurarsi (e augurargli) che si sbagli, come si sono sbagliati finora, per fortuna sua e nostra, i millenaristi profeti di sventura di tutti i tempi.(O.N.)