Il calo di studenti degli istituti tecnici dipende dalla riforma?

Cosa ne sarà di loro? Dove finiranno gli istituti tecnici? Saranno salvati e ricompresi nel sistema di istruzione sotto forma di licei tecnologici oppure diventeranno l’asse portante del secondo percorso regionale di istruzione e formazione professionale?
L’incertezza, anche dopo il recente convegno di Confindustria a Vicenza, resta tutta.

E qualcuno afferma che è proprio questa incertezza sul futuro degli istituti tecnici ad allontanare i giovani da questa scelta del proprio futuro formativo. Cerchiamo di verificarlo.
Prima dell’innalzamento dell’obbligo scolastico (a.s. 1999-2000) negli istituti superiori gli iscritti ai tecnici erano da alcuni anni lentamente in diminuzione. Negli anni ’90 gli iscritti alle prime classi degli istituti tecnici avevano raggiunto e superato il 40% degli studenti neo iscritti agli istituti superiori, ma poi il tasso era andato lentamente diminuendo, attestandosi nel 97/98 al 39,12%. Nell’anno scolastico precedente l’innalzamento dell’obbligo, gli iscritti alle prime classi dei tecnici erano stati 219.078 su un totale di 562.444 studenti al primo anno degli istituti superiori, per un tasso del 38,95%.

Nel primo anno di innalzamento dell’obbligo si iscrisse al primo anno dei tecnici il 37,72% (oltre un punto percentuale in meno).
Nel 2001-02, anno in cui la riforma costituzionale assegnava la competenza esclusiva alle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale, la percentuale di studenti iscritti alle prime classi dei tecnici scendeva al 37,16%. L’anno successivo il decremento è continuato e per questo anno in corso la percentuale di iscritti in prima è scesa al 34,91%.
In un quinquennio la platea dei nuovi iscritti alle prime classi superiori è passata dalle 562.444 unità del 98/99 alle 620.897 di quest’anno con una variazione in aumento di oltre 58 mila studenti. Ma di questa occasione di aumento di domanda gli istituti tecnici non hanno beneficiato.

In valore assoluto i dati degli iscritti non hanno subito forti variazioni che, invece, si sono verificate in termini percentuali, come se l’istruzione tecnica non fosse più in grado di conquistare nuovi consensi in alcuni territori o in alcuni settori della gente.
Conclusione: probabilmente la crisi di domanda ha radici ben più lontane della riforma Moratti (marzo 2003), che però non l’ha certo aiutata, almeno finché resterà l’incertezza sulle caratteristiche del secondo canale.