Equità, merito e giustizia nella scuola

Una vasta e aggiornata analisi del dibattito contemporaneo sull’idea di giustizia in educazione, a partire dalla rilettura critica della letteratura sociologica (ma in parte anche filosofica e politologica) ad essa afferente, si trova in “Equità e merito nella scuola. Teorie, indagini empiriche, politiche” (Franco Angeli editore, Milano, 2021), un saggio che si deve a due sociologi dell’educazione dell’Università di Roma La Sapienza, Luciano Benadusi e Orazio Giancola, che da tempo si dedicano a questa tematica.

Particolarmente stimolante è il capitolo iniziale del volume (diviso in quattro parti) dedicato al dibattito teorico sull’equità in educazione, un concetto multidimensionale alla cui definizione si può pervenire secondo Benadusi solo con un approccio multidisciplinare al quale concorrono la filosofia politica e morale (autori di riferimento John Rawls e Amartia Sen), una sociologia attenta alle dinamiche socio-culturali come è in particolare quella francese, e l’analisi storico-politica dell’evoluzione delle società contemporanee, a partire da quelle dell’area liberal-democratica alla quale anche l’Italia appartiene. È in questa ottica prismatica che si colloca il concetto di equità in educazione, all’intersezione tra giustizia distributiva e riconoscimento del merito individuale.

Il volume propone una periodizzazione delle due fasi nelle quali si sono succedute, negli ultimi sessanta anni, politiche mirate a rafforzare il principio di uguaglianza e altre volte ad importare nella scuola modelli e pratiche di tipo aziendale.

Esempio delle prime sono, negli USA, le affirmative actions di John F. Kennedy e Lyndon Johnson, in Europa le riforme scolastiche di tipo comprensivo, in Italia l’unificazione della scuola media del 1962, la liberalizzazione degli accessi universitari del 1969 e la legge 517/1977 in materia di integrazione delle persone con disabilità.

Esempi delle seconde sono, negli USA, la crescente influenza di economisti dell’istruzione come Eric Hanushek, teorici della relazione diretta tra crescita economica (PIL) e miglioramento delle performance scolastiche, da misurare attraverso test di apprendimento nelle competenze di base, e la trumpiana spinta verso la privatizzazione in nome della freedom of choice; in Europa la maggiore autonomia delle scuole e la loro apertura alla logica della customer satisfaction; in Italia l’accantonamento dei modelli di riforma comprensivi, dal progetto Brocca all’aumento dell’obbligo di istruzione di Berlinguer, e le riforme Gelmini del 2008-2011 (dal ritorno della scuola secondaria superiore ai tradizionali canali differenziati e gerarchizzati, al ripristino dei voti numerici e del ‘maestro unico’). Quali tra queste politiche si possono considerare più “eque”?

Nell’opinione pubblica, ma anche tra gli studiosi, si fronteggiano due diversi modelli valoriali: quello che considera più giusta una scuola individualista e meritocratica e quello che invece ne mette al primo posto la funzione solidaristica e inclusiva. Il volume di Benadusi e Giancola presenta i termini del confronto in modo lineare ma anche stimolante e persino appassionante per chi è interessato alla tematica. La preferenza degli autori va comunque a una scuola che garantisca a tutti l’acquisizione di uno “zoccolo comune di competenze”, compresa l’alfabetizzazione socio-politica e digitale, considerato “il corredo cognitivo indispensabile per l’esercizio dei diritti di cittadinanza in una democrazia che voglia migliorare e tutelare se stessa”. (O.N.)