Emergenza Covid-19/1. Una affannata prova d’orchestra

Nel film di Federico Fellini Prova d’orchestra (1979) i musicisti prima di suonare scherzano, si accusano e si deridono a vicenda, e ciascuno di loro proclama l’insostituibilità del proprio strumento all’interno dell’orchestra; poi, quando arriva il direttore, cominciano a suonare ciascuno per suo conto, e la prova diventa una disordinata cacofonia che il direttore non riesce a governare.

L’immagine si presta un po’ a descrivere la situazione nella quale si trova il nostro Paese, dove il presidente Conte non riesce a dirigere l’orchestra formata dalle Regioni, dai principali Comuni e dagli altri stakeholders – dagli esperti del CTS ai sindacati dei lavoratori e degli imprenditori – emanando decreti (DPCM) a ripetizione, immediatamente contraddetti da questo o quello degli orchestrali. Una situazione di assai scarsa coesione nazionale, che neppure i ripetuti moniti del presidente Mattarella hanno potuto finora ricondurre sui binari di una responsabilità nazionale condivisa.

Giovanni Cominelli in un brillante, anche se paradossale, editoriale pubblicato nel sito santalessandro.org, settimanale online della Diocesi di Bergamo, giunge a paragonare l’attuale situazione politica dell’Italia a quella determinatasi in Europa nel periodo della “anarchia feudale”, quando gli eredi di Ludovico il Pio, figlio di Carlomagno, non riuscirono a mantenere l’unità politica carolingia, e l’Italia e la Germania furono travolte dai “conflitti tra duchi, principi, potentati, vassalli, valvassori, valvassini”: qualcosa di simile alla condizione in cui si trova Giuseppe Conte, che emana “grida spagnole” alle quali “venti Ducati locali, detti anche Regioni”, obbediscono “a singhiozzo”.

In questo quadro di disordine istituzionale, speculare al disordine politico, che evidenzia contrasti all’interno della maggioranza di governo e anche all’interno dell’opposizione, la scuola si trova al centro di messaggi dissonanti, con la ministra Azzolina e i sindacati schierati a difesa dell’apertura delle scuole e della didattica in presenza, il nuovo Dpcm che prevede la DDI (ma in realtà DaD) nella scuola secondaria superiore almeno al 75% (ma la Regione Lombardia opta per il 100%) e un numero crescente di Regioni che si preparano ad estenderla anche agli altri livelli di scuola.

La scuola italiana giunge impreparata a questa scadenza. C’è chi, come Tuttoscuola, aveva avvertito fin dallo scorso mese di aprile che quella della didattica digitale era (è) una nuova frontiera alla quale bisognava (bisogna) guardare anche a prescindere dall’andamento della pandemia di Covid-19. Ma la primavera e l’estate sono trascorse nella speranza di una regressione del virus tale da consentire la ripresa della scuola solo in presenza, e si è persa l’occasione per preparare gli insegnanti, gli studenti e le famiglie a ripensare (e riorganizzare) la didattica in chiave digitale, in presenza e a distanza, come Vittorio Midoro spiega bene nella notizia successiva.