Eliminare i voti?/1. Pro e contro

La disputa sull’utilizzo dei voti (intesi come scale numeriche) da parte dei docenti per giudicare il livello di apprendimento raggiunto dai discenti ha un andamento carsico. In questi ultimi mesi e giorni è tornata d’attualità a seguito della decisione del governo Meloni e del ministro Valditara di aggiungere le parole “e del merito” alla denominazione del Ministero dell’istruzione. Scelta interpretata da alcuni come indicativa della volontà del primo governo di Destra-centro di accentuare il carattere selettivo della scuola, invertendo la deriva “facilista” attribuita alla responsabilità del Centro-sinistra.

Dal mondo della scuola giungono segnali contrastanti. Nella scuola primaria il superamento del voto numerico, sostituito dai giudizi descrittivi (avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione, e relativi descrittori), è stato metabolizzato dagli insegnanti, meno dalle famiglie, che spesso chiedono “a che voto corrisponde il giudizio”, ma si può dire che l’obiettivo di eliminare gli aspetti competitivi o afflittivi della valutazione espressa con i voti sia stato conseguito. Nella scuola media (secondaria di primo grado) i voti in decimi sono stati mantenuti, affiancati da giudizi sintetici di fine quadrimestre e anno, ma con la progressiva scomparsa delle bocciature hanno di fatto perso il carattere selettivo e ansiogeno che avevano negli anni Sessanta di don Milani.

Dove invece questo carattere l’hanno mantenuto è nella scuola secondaria superiore, soprattutto nel biennio iniziale, ed è in questa fascia che crescono le iniziative sperimentali avviate da alcuni insegnanti, anche a seguito di richieste studentesche, volte a contestare l’uso dei voti come strumenti di valutazione, delle quali parla Ilaria Venturi in un ampio servizio pubblicato dal quotidiano la Repubblica lo scorso 3 maggio. “Pedagogisti favorevoli, e non da ora, professori poco convinti, se non contrari”, sintetizza la giornalista al termine di un viaggio tra le scuole interessate da queste iniziative, dal Manzoni di Milano al liceo artistico di Bologna, dai licei Morgagni e Peano di Roma, Cannizzaro di Palermo e Giordano Bruno di Mestre, fino all’istituto professionale agrario Cecchi di Pesaro.

Ma è davvero percorribile la strada di una valutazione che rinunci radicalmente a una classificazione di tipo quantitativo dei livelli di apprendimento raggiunti dagli alunni? È possibile una valutazione senza misurazione? È possibile riconoscere il merito, al quale ora si richiama il Ministero guidato da Giuseppe Valditara, senza un metodo o strumento di comparazione delle prestazioni individuali?

Un tema al centro del dibattito pedagogico non da ora. Ne parliamo nella notizia successiva.

Per approfondimenti:
Valutazione: a chi danno fastidio i voti? Intervista a Cristiano Corsini

© RIPRODUZIONE RISERVATA