Draghi insiste: ritardo drammatico, spesa squilibrata

La scorsa settimana, in occasione della premiazione dei 20 giovani vincitori delle olimpiadi di matematica e informatica, organizzate dalla Banca d’Italia in collaborazione con il MIUR, il governatore Mario Draghi è tornato con forza sui ritardi e le anomalie della scuola italiana.

Gli insegnanti italiani lavorano meno ore dei loro colleghi degli altri Paesi dell’Ocse, ha detto, ma sono più numerosi; gli studenti stanno a scuola più ore che negli altri Paesi, ma imparano meno: sulla base dei dati Ocse gli studenti italiani sono in ritardo almeno di un anno nella scuola media, soprattutto in matematica. “In Italia il 32,8% dei quindicenni non raggiunge le competenze ritenute necessarie in una società avanzata, mentre la media Ocse è del 21,3%“. Dalle indagini comparative Ocse risulta inoltre un forte dislivello tra il Centro-Nord e il Sud, mentre i voti che gli studenti ricevono a scuola dai loro insegnanti sono molto vicini. Questo significa, nota Draghi, che le valutazioni degli insegnanti non riflettono l’effettivo livello di preparazione degli studenti.

Considerazioni e cifre che si raccordano con quelle contenute nel rapporto presentato alcuni mesi fa dalla Commissione tecnica per la finanza pubblica, organo che fa capo al ministero dell’Economia. Dallo studio risulta che i bambini delle elementari italiane stanno a scuola il 23% di tempo in più della media Ocse, e quelli delle medie l’8% in più, mentre l’orario di lavoro degli insegnanti delle elementari è del 10% inferiore alla media Ocse, e quello dei professori di scuola media del 16%. Gli insegnanti italiani sono pagati poco, ma fanno anche meno ore, tanto che in termini di retribuzione oraria la distanza dalla media Ocse è meno forte di quella che si rileva comparando gli stipendi annuali lordi: 29 euro contro 31 della media Ocse per i maestri, 40 euro contro 46 per i professori di liceo. Eppure la spesa italiana per studente supera del 24% la media Ocse (ma al netto degli stipendi è inferiore del 13%).

Tutto questo significa che il problema della spesa per l’istruzione in Italia non è tanto, o meglio non è solo, un problema di quantità, ma è soprattutto una questione di qualità, di distribuzione interna e di uso efficiente delle risorse. Se i risultati migliori li ottengano gli studenti di famiglia benestante, ragiona Draghi, allora vuol dire che “troppo poco è cambiato da quando, quarant’anni, Don Milani sollevava la stessa questione“.